Il nuovo millennio è segnato innegabilmente da un avvenimento storico che, osservato oggi, appare iscritto nella consapevolezza culturale del mondo occidentale: l’11 settembre 2001, spartiacque dell’epoca contemporanea. Il novecento – conclusosi con la fine del mondo bipolare – si è risvegliato bruscamente dopo le torri gemelle con un nuovo nemico. L’occidente ha dovuto fare i conti con l’emersione dell’Islam radicale come minaccia capace di portare per la prima volta sul suolo americano un evento di morte su vasta scala. Non era mai avvenuto prima e storici e sociologi sanno bene quanto le forme adottate dal nuovo terrorismo abbiano contribuito a mettere in discussione in occidente il paradigma multiculturale che era stato visto fino a quel momento come la soluzione della convivenza fra culture diverse, in grado di superare l’assimilazionismo. Tutto questo ha fatto sì che l’11 settembre potesse assurgere a chiave di lettura del presente, specchio dei problemi del mondo che viviamo, indipendentemente dalla dimensione emotiva che sull’immediato si abbatté sul primo mondo. Le insicurezze a partire dal 2001 ci hanno fatto familiarizzare col bisogno di maggiore controllo e alla diffidenza verso le altre culture ma soprattutto si è creato un modo nuovo di guardare alle vittime della violenza terroristica. Mentre ancora tutto questo era di là da venire, nello stretto presente dell’attacco alle torri di Manhattan e al Pentagono, il Gruppo Sbandieratori prendeva un volo di linea e raggiungeva il suolo americano a Las Vegas per partecipare al Ducati Revs America, dal 26 al 28 ottobre. Si trattava di un importante raduno internazionale promosso dalla sezione nord americana della Ducati con l’intento di coinvolgere appassionati statunitensi ma non solo della casa di Borgo Panigale. L’italianità Ducati veniva quindi ad essere celebrata dalla presenza dei nostri colori e vessilli, in un autodromo nel deserto del Nevada alle porte di una delle città più paradossali ed assurde del pianeta.
L’atmosfera che abbiamo immediatamente percepito fin dall’aeroporto è stata di militarizzazione comprensibile con soldati ovunque in tenuta da guerra a controllare i passeggeri. Poi, incredibilmente, ti ritrovi in una dimensione atemporale dove ci sono solo luci abbaglianti e il furore dei giocatori d’azzardo nei casinò sullo Strip, la strada che raccoglie i sontuosi tempi del gioco e dell’intrattenimento che non dorme mai. Raggiunto il nostro albergo – Il Sahara – fin dall’ascensore Alberto “Pallina” Basagni mi fa notare che siamo nell’unico luogo arabeggiante che gli americani possono al momento tollerare e, visto lo sfarzo (in realtà un po’ decadente dal momento che si tratta di uno dei grandi casinò più invecchiati) mi dice che legittimamente ci possiamo sentire dei Gran Mullah! Gioco d’azzardo, prostituzione e intrattenimento: questa è in sintesi Las Vegas. A chi viene qui da ogni luogo d’America non importa un gran che dell’11 settembre e nessuno al tavolo verde si perde in disquisizioni geopolitiche, di sicurezza internazionale o del vulnus inferto al senso di superiorità americana. Ma al di là del turismo da casinò noi siamo a Las Vegas per presentare i nostri spettacoli fin dal mattino, immersi nel contesto altrettanto estraniante di un circuito di asfalto tracciato nel deserto rosso dove girano senza sosta Ducati di ogni epoca, cilindrata e allestimento, con proprietari bizzarri come solo i motociclisti fanatici possono essere. C’è un palco sul quale si alternano spettacoli musicali a premiazioni. Le rock band pestano duro ma non riescono a coprire il rombo di centinaia di bolidi disseminati fra pista e stands. Ogni tanto qualcuno fa esplodere un motore o applaude al matrimonio di centauri vestiti in pelle con testimoni Elvis e Marylin. Spesso di fronte a queste cose io e Marco Vanni ci guardiamo senza dire niente: accendiamo una sigaretta e con un sorriso andiamo a metterci in calzamaglia. Poi magari accanto al nostro stand troviamo in abbigliamento da gara i campioni del mondo Superbike Troy Bayliss e Ben Bostrom. Foto insieme necessarie ma c’è chi invece è più attratto dalle immancabili ragazze lontane dalla sobrietà in perfetto stile motoristico.
I nostri spettacoli vanno via lisci e precisi in un contesto in cui non è facile attirare l’attenzione dal momento che sei a Las Vegas e chi si muove in questa bolla vede ed esperisce di tutto. Fa quindi poco effetto un gruppo in tenuta medievale a lanciare bandiere a tempo di musica. Il ritorno la sera a Las Vegas ti spalanca le porte ad un mondo effettivamente unico: sfogliare l’elenco degli spettacoli disponibili ogni giorno nei casinò dello Strip ti fa girar la testa. All’MGM suona Tom Jones che ha appena realizzato la hit Sex Bomb; Lionel Richie è al Bellagio… è solo questione di portafoglio e trovi di tutto. Una delle esperienze più estranianti della mia vita è stata la comparsa dell’intero gruppo all’interno del Venice: la ricostruzione della città lagunare è incredibilmente fedele e devi proprio andare a grattare una colonna per renderti conto di essere immerso nella più pacchiana cartapesta. Ma per il resto c’è tutto: dal campanile di San Marco ai gondolieri che trasportano turisti e sposini in viaggio di nozze ed un cielo azzurro proiettato sul soffitto dove scorrono nuvole e piccioni. Una giovane arrogante turista del Mid West con marito palesemente alticcio mi dice che sono stati anche nella Venezia vera ma di preferire questa qui perché è uguale ma c’è da camminare di meno e poi si gioca. Mi allontano ripensando all’11 settembre.
La trasferta a Las Vegas ha registrato alcuni momenti indimenticabili per la storia del Gruppo: quegli episodi iscritti all’interno delle nostre dinamiche giocose che fortificano amicizie e ci fanno ridere a distanza di decenni, raggiungendo a volte una dimensione epica. Fu il caso della serata nella quale un ristretto gruppo di noi decise di prenotare un tavolo in un lussuoso ed esclusivo ristorante all’interno del Bellagio. Nel taxi si introdusse a forza l’ospite non invitato e fummo incapaci di gettarlo fuori dal veicolo in corsa, anche se avremmo fatto bene. Colui che riuscì a molestarci la serata fu uno dei personaggi più strani che abbia mai fatto parte del Gruppo Sbandieratori: tale Faellini. Poteva essere vilipeso come picchiato da tutti, in reazione al suo comportamento sempre petulante e fastidioso, e lui restarsene imperterrito, consapevole che ogni offesa ricevuta sarebbe stata una sorta di onore al merito. Nella nostra serata a cena ordinammo vini veramente costosi e il molestatore per attirare l’attenzione riuscì a versarsene un bicchiere fino all’orlo, incurante della necessità della parsimonia. La risposta gelida che ricevette fu un alto esempio educativo e di aplomb come raramente ho sentito: “Non ti conoscevo fino ad ora, ma sei veramente una persona inadeguata”.
Mai, miei cari lettori, fu più appropriata la definizione – che ci connota – di “sbandieratori come scuola di vita”.
da “L’Alfiere” – n. I – 2021, pagg. 8-9