Il Gruppo Sbandieratori non è fatto solo di bandiere, coreografie, allenamenti ed esibizioni, il Gruppo Sbandieratori è parimenti amicizia, divertimento, risate, sfottò, insomma è un insieme di ragazzi giovani e “diversamente giovani” (molto diversamente) che con serietà affronta gli impegni in costume e, una volta smesso questo, affronta lo stare assieme in modo scanzonato e goliardico.

Tutto ciò si è preso una pausa a causa di questo maledetto Covid. Quando capita di sentirsi attraverso messaggini o social, non c’è una cosa che manca più di un’altra, ci manca tutto, ci manca il costume, la fatica, ci mancano gli applausi e le trasferte, ma ci mancano in pari misura quei momenti di spensieratezza, le ore passate in pullman, gli scherzi e i “capelli” (per i non avvezzi, da pronunciarsi con l’accento sulla “e”). Gli scherzi e le goliardate sono una di quelle cose che caratterizzano il Gruppo da sempre, ancora oggi vengono raccontate cose avvenute decenni e decenni or sono, tutte le volte condite con nuove sfumature che ormai nessuno ricorda più se siano vere o frutto di una inconscia fantasia che vuole rafforzare ciò che è realmente accaduto. Tutto ciò produce vere e proprie “leggende” senza le quali il Gruppo perderebbe un po’ di sé stesso. La nascita di dette leggende avviene per i più svariati motivi, a volte per noia, altre volte per circostanze fortuite, altre volte per tradizione.

Una di queste “storie” la ricordo con grande simpatia. Fine ottobre 1991, Santiago de Chile, cena in un lussuoso ristorante, ospiti della comunità italiana. Nel corso della cena, forse complice qualche bicchiere di troppo, cominciammo a parlare di sciocchezze, un po’ per prendersi in giro, fino a che uno di noi introdusse nella discussione il “maguago”, a suo dire animale di piccole dimensioni ancora non troppo conosciuto. Chi ascoltava decise di stare al gioco facendo domande, anche delle più serie. Man mano che il dibattito prendeva corpo, l’allora Presidente, il caro e compianto Carlo Dissennati, ci guardava con aria interrogativa, pareva pensare “ma di cosa diavolo parlano questi ragazzi? Boh…”, per poi tornare a parlare di cose più serie con gli altri commensali. Ma al fianco di Dissennati, un altro dirigente del gruppo, per non far credere di essere estraneo a quanto stavamo dicendo, annuiva frequentemente con fare saccente di chi dalla vita ha poco o nulla da scoprire. È qui che scattò la molla: “cos’è il genio” recitava la voce narrante del film Amici miei del grande Mario Monicelli “il genio è fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione”. Un rapido sguardo fra noi fu sufficiente, ci capimmo al volo: dovevamo continuare così, pur non avendo gettato l’amo, il pesce aveva abboccato! Il dibattito si fece più serio, ci scambiavamo opinioni e curiosità carpite da fantomatiche e mai esistite puntate di “Quark”, nella discussione entrarono altri animali prodotto della nostra visionaria fantasia, il “mopane”, la “scolopendra quadrettata” e persino il “minollo”, citazione del grande Massimo Troisi. Il bersaglio della serata continuava a seguire con una certa attenzione la discussione e ad annuire. La serata stava volgendo al termine, ma quando i camerieri ci servirono il caffè e ovviamente ci portarono le zuccheriere, ci fu spazio per il “coupe de theatre” finale. Durante il nostro fantasioso dibattito faunistico, era emerso che una di queste specie (non ricordo quale) era tipica del Sudamerica ed in particolare si riproduceva nelle piantagioni di canna da zucchero, quindi successe che il primo che aprì la zuccheriera, la richiuse prontamente cacciando un urlo e, tenendola salda con due mani disse: “ragazzi, è qui dentro!” Allora, tutti incuriositi e anche un poco spaventati, facemmo girare la zuccheriera per far vedere la bestia, facendo attenzione ad aprirla poco poco. La sceneggiata non poté che finire subito dopo il caffè con una grande risata collettiva, dove tutti smascheravamo le fesserie dette fino ad allora. Il nostro bersaglio, capitatoci per puro caso, non potendo a quel punto fare una colossale figuraccia, ci ammiccò timidamente tentando di farci capire che aveva capito tutto fin dall’inizio.

da “L’Alfiere” – n. I – 2021, pagg. 10-11