Il 2000 è stato un anno importante per la storia del Gruppo Sbandieratori, con trasferte internazionali particolarmente prestigiose. Si verificò perfino la concomitanza di due grandi impegni in contemporanea che costrinsero la direzione tecnica e organizzativa a fare salti mortali per riuscire a predisporre due squadre che fossero in grado di bel figurare e garantire spettacolo adeguato in Nuova Zelanda, per la Coppa America di vela (vedi il racconto della trasferta su l’Alfiere n. III del 2017) e in Dubai.

Questa spedizione nell’Emirato (dal 27 febbraio al 2 marzo) ci vedeva per la prima volta nella penisola arabica ed è rimasta comprensibilmente come una “bandierina” importante e distintiva nella nostra storia di trasferte esotiche. La città che Dubai, centro principale del piccolo Emirato è conosciuta internazionalmente per la grande rilevanza commerciale ma le sue origini si collocano soprattutto nella condizione strategica geopolitica del Golfo Persico. Siamo all’interno di un contesto fondamentale per gli interessi della Gran Bretagna che, contendendo la regione alle altre potenze in termini di influenza e dominio diretto, stabilì nel tempo relazioni privilegiate pur non determinando mai l’occupazione del territorio. L’azione britannica, dopo aver soppiantato il dominio ottomano nell’Ottocento, è consistita nel farsi garante della difesa dei territori del Golfo Persico spingendo i sovrani locali al suo solo riconoscimento come interlocutore politico e commerciale. Il sistema inglese, determinato sul controllo marittimo dell’intera regione, spinse gli Emirati a formalizzare una Ctregua marittima perpetua” e a godere dei proventi derivati dalla pesca delle perle e del suo commercio, fino al suo declino con la seconda guerra mondiale. Il Dubai, come il resto degli Emirati, apparivano quindi una realtà geografica condannata alla irrilevanza economica e commerciale finché non si trasformò in centro energetico di importanza planetaria con lo sfruttamento a partire dagli anni Sessanta dei giacimenti petroliferi. La stessa definizione di Emirati Arabi Uniti fu la conseguenza dell’era del petrolio che determinò l’unificazione dei preesistenti sceiccati ma portò anche alla progressiva perdita di influenza dell’Inghilterra, sostituita dalle compagnie petrolifere americane. La decisione britannica di disimpegnarsi dalla regione, terminando il protettorato, risale al 1968, mentre la spinta alla creazione di una confederazione partì dai sovrani di Abu Dhabi e Dubai e venne realizzata nei primi anni Settanta. Si tratta di una delle realtà politiche più stabilmente legate al sistema di controllo della regione in funzione bellica durante tutte le operazioni condotte dagli USA dopo l’11 settembre. All’interno della confederazione il Dubai ha avviato una precisa diversificazione economica consapevole della limitatezza delle risorse petrolifere rimanenti e pertanto si è imposta soprattutto come realtà commerciale. Per questo gli anni duemila hanno registrato un boom edilizio impressionante con la costruzione di edifici faraonici, come il grattacielo più alto del mondo, il più costoso aeroporto mai realizzato, le isole artificiali e un equivalente raddoppiata di Disney World. Questo luogo particolarmente tecnologico e sfarzoso rappresenta una delle contraddizioni più grandi del sistema capitalistico commerciale contemporaneo e sorprende la scarsa discussione sui risvolti etici del suo sistema di sviluppo.

Con la loro trasferta gli Sbandieratori ebbero l’occasione di sperimentare uno dei primi momenti di promozione del passaggio fra la vocazione petrolifera a quella commerciale del Paese: il Dubai shopping Festival, una settimana di festeggiamenti per la celebrazione del consumo di massa. È con queste prosaiche motivazioni che il Gruppo per la prima volta nella sua storia si è recato nella penisola arabica. I ricordi di coloro che hanno partecipato a quella spedizione sono duplici: da una parte l’impatto con una società ricca ai limiti dello sfarzo, dall’altra la monotonia di giornate trascorse in lunghe prove sotto la giurisdizione di un regista per l’allestimento della festa che ha rappresentato l’unica esibizione della trasferta. In una sorta di circuito ovale munito di gradinate per il pubblico, il Gruppo è stato impegnato solamente in una sfilata assieme a molti altri gruppi internazionali. L’allestimento coreografico aveva come tema la favola e per questo gli Sbandieratori sono stati spogliati dei tradizionali costumi e vestiti come soldatini di piombo. Inoltre i tamburi e le trombe non hanno potuto suonare perché inseriti in un contesto nel quale era presente una colonna sonora generale e la cadenza di marcia era condizionata dall’attraversamento di grandi cubi di gommapiuma che rotolavano da una parte all’altra della strada.  Se a questo aggiungiamo che l’esibizione di fronte al palco dell’emiro del Dubai (Maktum bin Rashid Al Maktum) si è interrotta a metà con lo spegnimento delle luci e l’inizio dei fuochi artificiali, si comprende bene il ruolo da comprimari che abbiamo avuto all’interno di quella manifestazione. Non si tratta di un dettaglio da poco per l’autorappresentazione dello sbandieratore che gira il mondo con i propri spettacoli, visto che siamo abituati a rappresentare l’elemento di distinzione: coloro che sanno cogliere quello che serve per generare stupore nel pubblico. Nel Dubai abbiamo avuto la sensazione di essere incapsulati in un meccanismo faraonico ma poco attento al significato artigianale della meraviglia. Al di là dei fuochi d’artificio e degli elicotteri in volo che ci seguivano, siamo stati dentro un qualcosa di molto grande e costoso ma scarsamente poetico.

Nel poco tempo libero a disposizione il Gruppo si è diviso fra gite al mare e visita alla città: dal centro antico di Dubai (una serie di edifici dalle caratteristiche rupestri che hanno dato origine al primo insediamento della attuale città) alle strade commerciali dell’oro e dell’argento esposti in quantità pantagruelica e di dubbio gusto.

In conclusione si è trattato di una trasferta in parte estraniante, senza un contatto reale con la gente del posto, che ha messo alla prova la nostra percezione culturale del mondo. Fare lo sbandieratore significa vedere, capire e apprezzare quanto sia diversa per cultura l’idea stessa del divertimento e dello spettacolo. Oltre al Dubai in altre occasioni ci è capitato di aver a che fare con organizzazioni “presuntuose”, che ti comandano a bacchetta e ti considerano parte non necessaria di un tutto più grande di te. A conti fatti, evidentemente, abbiamo imparato da quella prima esperienza e siamo sempre in grado di inventarci qualcosa per stimolare la meraviglia e lo stupore nel pubblico che ci osserva. In definitiva quello che ci ha sempre distinto, e rimane il marchio che ci connota, è il non passare mai inosservati ed essere sempre, almeno per sensibilità artistica (e grazie alla direzione tecnica che abbiamo), i migliori del mondo.

da “L’Alfiere” – n. IV – 2020, pagg. 8-9