Il medioevo, la sua organizzazione civile e sociale e i suoi scontri militari, è ormai da molti anni al centro di rievocazioni storiche in innumerevoli luoghi in Europa. Non sempre assistiamo ad operazioni dignitose e filologicamente corrette: la vera e propria “moda di medioevo” spinge amministrazioni e comitati locali a puntare su un approccio spesso puramente turistico, con torri e accampamenti di triste cartapesta. L’importante è offrire al pubblico vacanziero un pacchetto da sagra paesana condito dalla presenza di figuranti con zoccoli di legno, un po’ di armature e qualche vessillo. Ad Alcoy, nella Provincia di Alicante invece, si svolge da tempo immemore una manifestazione particolarmente importante. La festa dei Moros y Cristianos, tipica di varie località della Spagna, ha qui una delle sue massime espressioni ed è stata dichiarata de interès turistico internacional. In questa cittadina la festa è ricchissima di figuranti – circa diecimila – e capace di attrarre non soltanto il turismo, ma la collaborazione della popolazione locale, ripartita in associazioni di quartiere – le cosiddette Filas – che gareggiano per aggiudicarsi il favore di una giuria che ne valuta la ricchezza delle sfilate.

Il gruppo Sbandieratori ha partecipato nei decenni per tre volte a questa importante manifestazione (1975-2003-2016) che ricorda lo scontro fra la dominazione araba e la cristianità iberica che si concluse con la perdita dei “mori” dei territori occupati. Ad essere ricordata è la battaglia di Alcoy del 1276 in conseguenza della quale gli arabi dovettero cedere l’intera provincia agli aragonesi. Al di là della guerra di religione, che fa assumere al termine di reconquista il valore di una crociata secolare (la presenza mussulmana nella penisola iberica ha inizio nell’VIII secolo con la sconfitta dei Visogoti e si concluse solo alla fine del XV secolo), dobbiamo ricordare che fu attraverso questo lunghissimo processo di affrancamento dalla dominazione mussulmana che trasse origine il concetto stesso di nazione spagnola. Lo scontro culturale fra mondo arabo ed europeo è ben esemplificato da giostre guerresche come il nostro Saracino ma nel caso di Alcoy l’aspetto militare non si concentra in un torneo cavalleresco ma in una serie di sfilate con migliaia di figuranti che mettono in scena gli eserciti delle due parti in lotta. La tradizione alcoyana è fatta di comprensibile rivalità fra le venti associazioni che partecipano alla manifestazione e gli Sbandieratori sono stati invitati per arricchire le loro coreografie. Il tutto occupa un fine settimana di fuoco, con cortei di figuranti e carri durante la giornata e una festa popolare gremitissima fino a notte fonda. La città di Alcoy ha un sapore e una atmosfera “meridionale” dove un barocco decadente costella vie e piazze del centro storico.

Qui si respira una hispanidad nella quale hanno stratificato memorie di avvenimenti molto differenti, tutti a loro modo tragici: Alcoy parte della reconquista, del contrasto cristiano aragonese ai mori, simboleggiato da quella fortezza di Barxell edificata dagli arabi ed infine espugnata; Alcoy patria di un fiero anarco-sindacalismo popolare che resistette durante la Guerra civile del 1936-39 alle truppe di Franco e all’alleato nazifascista. Non è semplice per il visitatore di oggi recuperare le suggestioni di questi passati guerreschi e luttuosi, ma, mentre per le vicende novecentesche la memoria si compone di voci multiformi, conseguenza del dramma di una durissima guerra civile, il ricordo della vittoria sulla dominazione araba ha assunto l’aspetto di una festa interculturale, con una popolazione locale che veste alternativamente i panni delle due. La nostra presenza in città nei giorni della festa ha sempre attratto l’ammirazione e il plauso di organizzatori e spettatori con la conseguente ricca ospitalità, fatta di numerosi inviti a pranzi e cene organizzati dalle varie Filas che partecipano alla festa. Qui le sfilate sono impegnative, sia per la lunghezza dei cortei, sia per le asperità urbanistiche di una città che si inerpica attraverso salite mozzafiato. Il lettore mi perdonerà se attingo alla memoria personale ricordando un episodio che simboleggia le “insidie” alle quali può essere esposto un globetrotter della bandiera. Terminate le esibizioni pomeridiane venimmo invitati per tutta la sera – senza possibilità di sfuggire alla ospitalità obbligatoria! – a godere delle libagioni offerte dalle varie Filas che apprezzavano non soltanto la nostra professionalità, ma anche la capacità di socializzazione e il nostro sorriso. Risultato: tornare ai nostri alloggiamenti in condizioni precarie, appesantiti, stanchi e a volte “storti”. La mattina successiva, molto presto, veniamo catapultati per una salita impossibile e il povero tamburino che apre di consuetudine la nostra formazione sa già che non sarà facile, che la giornata caldissima sarà lunga e assai faticosa. Ma non era possibile prevedere la presenza minacciosa del giullare munito di porron che ti si accosta offrendoti il conforto di una bevuta ristoratrice. Con orrore indicibile il fiotto di liquido che ti viene catapultato in gola era sì cristallino, ma non di acqua fresca, bensì una esiziale sambuca. Esito scontato: il tamburino crolla sulle ginocchia, sbianca e agogna quella branda sulla quale appena un’ora prima dormiva ancora beatamente. Le sere alcoyane, coi suoi fuochi d’artificio e la marea di gente che popola piazze e stradine del centro, prevedono ancora, senza costumi nè parate militari, le lunghe sfilate degli appartenenti alle varie Filas dietro al passo scandito da bande musicali. Ci viene chiesto di partecipare e veniamo intruppati in schiere di uomini che si tengono stretti e impettiti a braccetto, espletando un rito codificato e tradizionale, dove si deve oscillare lateralmente prestando attenzione alle distanze e mantenendo compostezza virile. Dalle finestre, dai balconi, gli applausi e l’entusiasmo della popolazione: signore anziane vestite a festa, in tipico spirito barocco spagnolo, con le teste velate ed adorne di pizzo nero. Ogni gruppo che sfila – siamo, lo ricordo, in abiti civili – ha un jefe, un capo che con una mazza roteante esalta il proprio passaggio. L’onore di assolvere a questa funzione coreografica spetta anche ad uno di noi: Simone Gori, che con gesti enfatici ed un sorriso da teatro dell’opera si esibisce in voleos e veroniche degne del migliore Schiaffino.

Probabilmente non siamo stati impeccabili nella partecipazione a questa sfilata serale, ma l’entusiasmo e la allegria che abbiamo portato a tutti quei balconi ci ha fatto sentire, ancora una volta, come spesso ci accade, nel cuore della gente, fuor di retorica, con semplicità. Perché si sa: in costume o senza, con la bandiera o meno, lo sbandieratore riesce ad essere elegante e marziale, con leggerezza e disinvoltura, col coraggio di osservare il mondo sempre con gli occhi grandi e meravigliati dei bambini.

da “L’Alfiere” – n. II – 2017, pagg. 6-7