Nell’estate del 2004 il Gruppo Sbandieratori venne ospitato nella città balneare di Hammamet per la Quarantesima edizione del locale festival internazionale, dall’11 al 19 luglio. Località votata tradizionalmente al turismo, se ne ricordano i soggiorni di Churchill e di Flaubert, ma è certamente difficile non associarla nella cultura italiana all’ultimo luogo di residenza di Bettino Craxi. I media italiani, la società e parte della politica di allora videro nell’espatrio di Craxi l’esito indecoroso della parabola di uno dei più rilevanti leaders della politica occidentale degli anni Ottanta. La famiglia e i fedelissimi di Craxi e del craxismo parlarono di esilio, dovuto all’ingratitudine di un Paese che con superficialità, irriconoscenza e finanche colpevolezza aveva voltato le spalle al politico più rappresentativo dell’Italia precedente a Tangentopoli.
Da studioso di storia italiana provo un istintivo disagio a riflettere e scrivere di quelle vicende che così hanno condizionato il senso stesso della politica italiana della cosiddetta seconda repubblica: è proprio negli anni Ottanta impersonati dal sistema di potere con al vertice Craxi che mi sono formato politicamente e come senso civile, che ho cominciato a maneggiare categorie e un vocabolario di transizione fra la politica novecentesca classicamente intesa e quella “liquida” e mediatizzata di oggi. La storia italiana e alcune caratteristiche culturali e antropologiche di questo paese si specchiano non tanto nella parabola di Craxi, quanto nel giudizio storico che di questo personaggio si è dato e si dà. Dal vasto consenso al repentino disgusto fatto di fischi e monetine, fino all’indifferenza attuale, tutto appare superficiale, poco coerente e provvisorio. In un libro sulla casa natale di Marx, a Trier in Germania ritrovo, fra le fotografie di delegazioni in visita, quella con Craxi ed altri rappresentanti del socialismo italiano ed internazionale. Erano anni strani, quasi estranianti, gli anni ottanta: stavano cambiando così tante cose da far apparire molto più distante il decennio precedente, le collocazioni ideologiche e di classe, le appartenenze e le partigianerie. Esito coerente – all’epoca non certo scontato – di questo vasto rimescolamento di condizioni e conclusione di un’epoca, fu il crollo del comunismo a livello internazionale e la fine, a colpi di scandali e avvisi di garanzia, della politica dei partiti figli del postfascismo.
Craxi si spegne ad Hammamet nel 2000 e quattro anni dopo ecco gli sbandieratori sul lungomare cittadino a volteggiare le proprie insegne ma anche in visita al cimitero che ospita la tomba del leader socialista. Ad ogni membro della spedizione venne donata una piccola anfora bianca con sgocciolature rosse e verdi a simboleggiare le lacrime dell’Italia per la perdita di Craxi. In città, la presenza di questa ingombrante e discussa figura della passata repubblica è stata evidentemente importante e il gruppo si è trovato circondato da una atmosfera di rispetto e considerazione per tutta la trasferta, compreso l’incontro dal sindaco della città e le gentilezze della cena di pesce sulla spiaggia innaffiata da vino rosé. Questo non significa che ogni gesto di cortesia e di ospitalità ricevuto nella trasferta tunisina sia stato figlio di quella memoria e della recentissima presenza di Craxi nella città di Hammamet. Vari partecipanti alla spedizione mi hanno comunque descritto quanto quel legame fosse avvertibile ed avesse una ricaduta sui gesti di attenzione nei nostri confronti. Oggi non sarebbe più la stessa cosa: quella trasferta è l’istantanea interessantissima di un momento di inizio secolo in cui ancora tante cose dovevano accadere nel Maghreb, dalla Primavera araba che ha così profondamente riguardato la Tunisia, alle dinamiche migratorie di questi ultimi anni. Proprio mentre scrivo, la Tunisia e le sue meravigliose isolette sono descritte come il nuovo luogo di partenza dei flussi migratori dal nord Africa. È assai evidente che dalla Tunisia a Lampedusa c’è una distanza paragonabile alla tratta Milano-Torino e che i nuovi porti di partenza siano più vicini all’Italia che alla capitale Tunisi.
Al di là di queste considerazioni di geopolitica attuale, la memoria della trasferta in Tunisia è popolata di esibizioni serali sul lungomare e di un clima da vacanza di estrema piacevolezza, con l’immancabile esperienza in cammello che ha riguardato ogni trasferta del gruppo fra Maghreb e Medio Oriente. Il gruppo – a scorrere la lista dei partecipanti alla spedizione – era composto da molti giovani e l’assenza di impegni troppo gravosi ha favorito un clima di spensieratezza e relax che è rimasto nella memoria di chi ne fece parte, nonostante le temperature infuocate del giorno tunisino.
Oggi forse nessuno accoglierebbe il Gruppo Sbandieratori come simbolo dell’italianità associabile a Craxi, mentre noi oggi come in quella occasione rimarremmo senza parole di fronte alle rovine di Cartagine. Esperienza unica di quella bellissima trasferta che fu la Tunisia del 2004, la visita ai resti della città di Cartagine non può non smuovere la coscienza testimoniale di chi come noi è abituato a viaggiare maneggiando e incontrando simboli. Cartagine rivale di Roma viene distrutta in seguito a quel lungo conflitto che abbiamo imparato a conoscere fin dall’infanzia a scuola, mentre meno abbiamo consapevolezza della riurbanizzazione che gli stessi romani eseguirono nell’area, riedificando una città che per estensione ed abitanti giunse nel massimo splendore ad essere terza nell’impero, dopo Alessandria e Roma stessa. Di quella enorme Cartagine oggi non resta molto ma certamente fra le rovine spiccano quelle delle immancabili terme: le terme di Antonino sono ricordate come le più maestose e capienti assieme a quelle di Caracalla e di Diocleziano a Roma. Nei resti dall’area termale oggi svetta una colonna di trenta metri, l’unica sopravvissuta fra le otto che dovevano sorreggere la copertura di un frigidarium immenso di un migliaio di metri quadrati.
Ma indipendentemente dall’importanza di ciò che rimane di visibile, per la nostra spedizione tunisina resta centrale l’idea stessa di Cartagine, lo scontro antico con Roma, ormai simbolo non soltanto di epica guerresca ma di mescolamento di culture all’interno del Mediterraneo. Roma erede quindi non solo di greci ma di fenici, quando solcare il Mediterraneo non era soltanto una questione di migrazioni da tentare e reprimere ma attitudine necessaria della vita dei popoli. Siamo, nel nostro viaggiare con la bandiera, testimoni consapevoli di molte cose ed avvenimenti che richiedono tempo e pazienza nella rielaborazione: la trasferta in Tunisia ci ha portato poco lontano e questo concetto di prossimità potrebbe essere elemento di speranza nel riuscire a ricordare, in questi tempi complicati, la comune appartenenza alla civiltà del mare nostrum.
da “L’Alfiere” – n. III – 2020, pagg. 8-9