Fin troppo banale, anche per una modesta rubrica di ricordi e riflessione sulla memoria storica del Gruppo Sbandieratori come questa, cominciare pensando alla distanza culturale fra “noi” e “loro”, fra due paesi, stili di vita e passato storico che tanto poco hanno in comune. Eppure il Giappone rimane una delle esperienze più importanti e di svolta per la nostra Associazione. In primis perché ha rappresentato l’oriente profondo e insondabile per la prima nostra spedizione che vi si è recata esattamente cinquanta anni fa (era l’agosto del 1969 quando ci esibimmo fra Tokyo e Osaka). Secondariamente perché soprattutto le esperienze frequenti degli anni Novanta hanno determinato uno degli aspetti “teneri” e di profondo valore che la storia del Gruppo può annoverare: le relazioni d’amore che hanno in questo caso cambiato la vita di alcuni personaggi centrali per la nostra stessa autorappresentazione: Ivan Luttini (maestro del tamburo), Enrico Eustorgi (singolista d’eccezione) e Paolo Farsetti (gigante dal lancio roboante). Tutti e tre, in conseguenza delle trasferte in Giappone, hanno conosciuto le loro future compagne di vita. Questo ragionamento è solo in parte sentimentale e privato, e dimostra piuttosto la ricchezza di opportunità che la vita viandante dello sbandieratore è in grado di offrire a chi si pone senza pregiudizi in ascolto delle differenze, siano queste culturali o linguistiche. Vedere negli anni cementarsi relazioni di coppia a partire da esperienze trascorse in un luogo così lontano e differente come il Giappone mi porta a pensare ad un dato per nulla scontato come i meccanismi di attrazione che si determinano tra gli esseri umani. Noi siamo largamente favoriti dal distinguerci – in pubblico, nelle strade e nelle piazze del mondo – per quel costume che non manca di colpire chi ci osserva anche se non può comunicare con noi a parole agevolmente. Lo sperimentiamo sempre, in ogni trasferta distantissima per spazio e cultura: l’incontro con l’altro rimane anche frutto della simpatia e della accoglienza del nostro modo di comunicare gioia attraverso l’estetica, il colore e il movimento.

Dopo quella prima presenza di cinquanta anni fa, abbiamo partecipato a spedizioni giapponesi per due volte negli anni Settanta: nel novembre del 1975 a Okinawa e a Tokyo (in occasione di manifestazioni legate al commercio e all’artigianato) e nell’aprile/maggio del 1977 ancora a Tokyo, Osaka e Kyoto (feste popolari e folkloristiche con presenza Toscana). La trasferta successiva è entrata fortemente nella memoria del Gruppo perché presso l’Holland Village di Sasebo (cittadina della prefettura di Nagasaki) ci siamo rimasti da metà luglio ai primi di settembre del 1989. L’esperienza di Sasebo e del suo parco turistico in stile architettonico olandese Huis ten Bosch si è svolta in seguito per quattro volte negli anni novanta, comprendendo anche l’anno 1995, determinante per le celebrazioni del cinquantesimo della bomba atomica su Nagasaki. La retorica della cultura di pace veicolata dai media e dal senso comune porta certamente a dimenticare quanto sia complesso esercitare il ricordo pubblico di un passato così traumatico come la catastrofe nucleare che pose fine alla seconda guerra mondiale. L’aver partecipato a quelle celebrazioni di compostezza e cordoglio ci consente di riflettere sui rischi di irrimarginabilità del trauma per eccellenza della storia contemporanea giapponese che corrisponde paradossalmente al momento di liberazione e termine delle sofferenze per l’Europa sotto il tallone nazifascista e dello sforzo bellico americano.

In queste note è giusto ricordare anche che non torniamo in Giappone dal lontano 2001 quando ci esibimmo fra Fukuoka, Osaka, Kobe e Kyoto: si tratta di quasi venti anni e quindi di una intera generazione di giovani sbandieratori che possono solo sentir rievocare da chi c’era – magari nell’89 – la difficoltà di creare una formazione che possa star via da casa quaranta giorni. Ce lo ricorda Paolo Farsetti: “tre spettacoli al giorni per 104 esibizioni totali per soltanto sei sbandieratori, due acrobati, due tamburi, all’interno di un festival che ci vedeva assieme ad attrazioni di altri paesi”. È ovvio che una così lunga permanenza abbia consentito gite ed escursioni ma anche le rievocazioni giostresche nei corridoi dell’albergo. E sempre Paolo ha sottolineato le ire del personale dell’albergo per il sistema antincendio in tilt in conseguenza dei giochi pirotecnici per celebrare un compleanno. Nella memoria rimangono una “piscina comunale con l’acqua alta 20 cm”, decisamente insoddisfacente ma anche un antesignano cinema 3D all’interno del villaggio.

L’Holland Village non aveva certamente le dimensioni di Huis ten Bosch, luogo delle esibizioni degli anni successivi: “area di quindici ettari con canali, mulini a vento, castelli ed edifici rigorosamente copiati dal seicento olandese, coi suoi velieri costruiti in Europa e portati lì via mare, alcuni navigando altri dentro navi”. Qui i tre spettacoli al giorno obbligavano a rimanere perennemente in costume visto l’entusiasmo costante di turisti che si volevano fotografare con le “attrazioni medievali”. Difficile dimenticare per gli sbandieratori l’entusiasmo profondo e gioioso delle società asiatiche e orientali nei confronti della nostra presenza: la differenza rispetto alle tante piazze europee e occidentali è palpabile e fatta di manifestazioni a volte sorprendenti. Su tale dettaglio mi pare meriti riflettere in conclusione di queste note, dal momento che la globalizzazione delle esperienze e la democratizzazione del turismo portano come riflesso negativo l’essere abituati ad ogni ipotetica stravaganza col risultato che è possibile non stupirsi più di nulla…nemmeno della gioventù colorata in calzamaglia! Il confronto fra le accoglienze giapponesi e l’indifferenza del cittadino newyorkese in pausa pranzo a Central Park che non smette di sfogliare il giornale mentre in mezzo ai grattacieli proiettiamo in aria i nostri drappi, mi pare decisamente rivelatore.

Che si tratti di bambini o di adulti da intrattenere, nel cuore delle nostre trasferte rimangono indelebili le persone dagli occhi sognanti…quelle che ti guardano con stupore…e poi magari ti sposano!

da “L’Alfiere” – n. IV – 2019, pagg. 8-9