Nel trentennale della sanguinosa repressione dei moti studenteschi in Cina, la tristemente nota Tienanmen (notte del 3-4 giugno 1989), mi pare importante dedicare il tradizionale spazio delle “trasferte memorabili” all’unica volta nella quale il Gruppo Sbandieratori ha avuto l’occasione di esibirsi in terra cinese (se si eccettua la Tournee nella assai differente realtà di Taiwan del 1994). La distanza temporale dai tragici fatti che accompagnarono il timido scossone che parte della gioventù tentò di assestare al potere politico cinese, ci permette di capire il valore di un sacrificio non soltanto testimoniale ma di sostanza. Il governo cinese, uno dei pochi superstiti dell’esperienza comunista nel mondo, ne ha sempre minimizzato la portata (anche per ridimensionare le proprie gravissime responsabilità) ma non ha potuto impedire completamente il processo socio-politico di riforma di un Paese ai cui vertici politici venivano imputate limitazioni di libertà laceranti. Proprio l’esperienza di Tienanmen ha anche rappresentato su scala planetaria un importante momento di riflessione sulla funzione dei mezzi di informazione per la affermazione delle libertà elementari e del diritto all’autodeterminazione. Il “vogliamo vivere” dei dissidenti cinesi di quella stagione serve, nonostante tutto, ancora da monito per le coscienze democratiche, dal momento che libertà e diritti conculcati restano, non soltanto in Cina, parte fondamentale dell’iniquità nella quale siamo immersi. Il problema – oggi come trent’anni fa – rimane l’indifferenza di parte del mondo verso i senza voce e ripensare, con la modestia del nostro piccolo periodico, a quel ragazzo che sbarrava la strada al carro armato, ha un valore necessario, foriero comunque di speranza. Da quel 1989 sono cambiate molte cose e la Cina che noi abbiamo visitato è certamente diversa, non soltanto per l’impetuoso sviluppo economico che l’ha resa un partner commerciale irrinunciabile al punto di far dimenticare a larga parte delle classi dirigenti mondiali il perdurare dell’assenza di democrazia.Ricevemmo l’invito per la Cina nel Duemila. L’inizio del millennio fu in effetti per il Gruppo segnato da due occasioni irripetibili di viaggio come la Nuova Zelanda e appunto la Cina meridionale, esattamente a Kunming, la città dell’Eterna Primavera, capitale della regione dello Yunnan. L’occasione fu la partecipazione dal 4 al 13 aprile del 2000 al Festival internazionale del Folklore, in un contesto caratterizzato prevalentemente dalla partecipazione di gruppi asiatici, con l’unica eccezione europea di un gruppo spagnolo e della nostra compagine. Il contesto del Festival del folklore ha consentito non soltanto di esibirsi in parate (a quella principale hanno assistito circa 500mila persone) e spazi più contenuti, ma anche di assistere a coreografie particolarmente curate dove all’elemento umano si aggiungeva anche quello degli elementi naturali, come i giochi d’acqua, in una realtà immersa appunto nel verde che caratterizza una città comunque assai grande, con ormai circa sette milioni di abitanti. Kunming è cresciuta soprattutto a partire dagli anni Novanta, in conseguenza di un progetto di sviluppo che prevedeva il potenziamento delle infrastrutture commerciali verso il sud-est asiatico. Per questo la città è stata “costruita” con la progressiva e massiccia aggiunta di satelliti urbani che hanno fatto allargare la cerchia urbana raddoppiando la popolazione in circa un decennio.

Gli sbandieratori sono stati ospitati in modo impeccabile, se non addirittura lussuoso, ricevendo in generale numerose dimostrazioni di simpatia da una popolazione curiosa e aperta. Il tempo libero trascorso nel contesto urbano ha registrato memorabili scorrazzate in bicicletta da parte del gruppo compatto e la visita a quei mercati alimentari che offrivano alla vista prodotti completamente sconosciuti alle nostre abitudini. In fatto di acquisti, rimane agli atti quello di una chitarra con la quale Piero Pedone accompagnava parte del gruppo nella composizione di nuove rime che prendevano spunto dalle vicende vissute in quei dieci giorni di trasferta. Su tutti si distingueva la simpatia ed abilità canora di Stefano Bulletti, vero e proprio mattatore della canzone satirica. Fra queste note affettuose e di nostalgia verso gli amici e compagni di sempre della nostra realtà associativa, va sottolineata la partecipazione a quella trasferta cinese del compianto Enzo Bidini, che ebbe proprio in quella occasione la possibilità di condividere per l’ultima volta col gruppo la bellezza dell’avventura in una terra lontana.

Più volte in questa rubrica ho fatto riferimento al ruolo testimoniale delle nostre presenze nel mondo, consapevole che nelle trasferte più complesse e distanti sia assolutamente chimerico ricevere una impressione allargata e profonda dei paesi solcati. Questo vale a maggior ragione quando si parla dell’immensità cinese: la visita di una sola città e di alcune importanti realtà turistiche limitrofe (in questo caso la meravigliosa Foresta di Pietra) non può consentirci di dire di aver nemmeno intuito un paese. Però sappiamo assai bene quanto la consuetudine al viaggio che ci contraddistingue sia in grado di stimolare confronti, domande, curiosità e capacità di osservazione di quanto può apparire distantissimo e quindi al limite dell’inafferrabile. Il contesto delle esibizioni ha portato il Gruppo (fra l’altro in formazione non particolarmente estesa) ad una immersione inedita nella fantasmagoria dei colori asiatici, le sue iridescenze e screziature: in questo caso quindi gli sbandieratori, contornati da altri 7mila figuranti, non avevano dalla loro parte il tradizionale valore aggiunto ed elemento distintivo del colore. Si rese necessario affidarsi alle geometrie e alla maestria del maneggiar l’insegna, il ricorso al gesto tecnico, in un contesto non privo della tradizione del drappo e della bandiera, ma certamente del suo lancio millimetrico. Ecco che quindi una sparuta formazione che avrebbe rischiato di perdersi nella moltitudine delle parate cinesi ha avuto un grande successo e possibilità di distinzione. Si tratta, in effetti, dell’inveramento culturale di quel motto in apparenza un po’ retorico dell’essere “ambasciatori nel mondo” che tante volte è stato pronunciato come nostra caratteristica distintiva. Perché l’antichità dei nostri gesti è riuscita a dialogare ed integrarsi con le geometrie e le enormi macchie di colori dispiegate dall’altrettanto antica civiltà d’oriente.

Questi rimangono principi e capisaldi del nostro impegno come collettivo, al di là dell’esperienza di viaggio del singolo. La nostra capacità di restituzione verso gli altri, soprattutto quando si tratta di un alter tanto alieno e difficilmente penetrabile, attraverso il gesto e la forma. Mi preme ricordare che questo significa, in estrema sintesi: estetica… e quindi filosofia.

da “L’Alfiere” – n. II – 2019, pagg. 8-9