Dicembre, momento di bilanci. Anche per la nostra Associazione è l’occasione per tirare le somme dell’attività di questo 2018 che sta per passare in archivio, tra motivi di soddisfazione e spunti di riflessione.

È su uno di questi ultimi in particolare che vorrei soffermarmi: come si è evoluto il Gruppo nel corso dei decenni e cosa invece accomuna gli sbandieratori di oggi con chi li ha preceduti?

Se ci voltiamo indietro, sono sicuro che neanche il più visionario dei nostri “padri fondatori” avrebbe immaginato di poter vedere la propria creatura procedere spedita verso i 60 anni di vita, con una formula in apparenza inalterata, potendo orgogliosamente vantare vitalità associativa unita ad una reputazione ancora solida e non scalfita, anzi rafforzata, dalle ormai varie centinaia di realtà consimili, più o meno valide.

Eppure, mi sono spesso trovato a disquisire se sia più giusto perseguire una rigida “ortodossia”, non solo nel modo di proporsi al pubblico ma anche nella gestione del gruppo, o se invece sia necessario adattarsi alle mutate mentalità ed alle moderne attese soprattutto dei più giovani, che poi di un collettivo come il nostro sono la linfa.

Specie da parte di coloro che hanno vissuto gli Sbandieratori nei primordi non sono mancati commenti ispirati ad un certo rimpianto per quegli anni: ad essi replico facendo sommessamente osservare come l’inevitabile assuefazione al tipo di spettacolo, unita ai differenti gusti del pubblico e ad una sempre più diffusa concorrenza, le accresciute difficoltà di gestione coniugate alla crescita del numero degli effettivi, rendano poco paragonabile l’associazione di oggi con quella di allora. Senza dimenticare la «comfort zone» che veniva garantita dalla “chioccia” APT, perduta forzosamente per soppressione di quell’ente!

Le differenze dunque esistono, ma forse il segreto della nostra longevità è proprio la capacità di adattarsi e trasformarsi nel rispetto delle proprie tradizioni. Proviamo a rifletterci.

Dal lato tecnico, sono persuaso che oggigiorno, soprattutto in occasione della Giostra del Saracino, sia difficile accontentare un pubblico sempre più esigente se non proponendo esibizioni ideate per “alzare l’asticella”, sia nelle coreografie che nelle musiche; anzi, direi che dagli Sbandieratori di Arezzo ce lo si aspetta. Anche a costo di prendersi dei rischi e, giocoforza, rischiare l’imperfezione.

Dal punto di vista strettamente gestionale, è appena il caso di osservare come anche alle associazioni come la nostra vengano imposti vincoli e pastoie burocratiche che quasi rischiano di fiaccare la capacità di resistenza del mondo del volontariato.

Sotto l’aspetto associativo, nell’epoca dei “social” e dell’odierna conclamata riottosità (non solo delle nuove generazioni) a partecipare con costanza alla vita di gruppo, sottolineo come abbia quasi del miracoloso vedere ancor oggi decine di ragazzi di varia età allenarsi, gestire il magazzino, sistemare una splendida sede, organizzare eventi, contribuire a far quadrare i conti per poi indossare 40-50 volte l’anno costume-calzamaglia-stivali sacrificando il proprio tempo libero per una trasferta spesso da essi stessi procacciata!

Ma c’è un aspetto che non è mai cambiato: la passione, vero motore senza il quale nessuna realtà di volontariato potrebbe funzionare. Quella stessa passione che traspare, oggi come allora, negli occhi degli sbandieratori che in Borgunto stanno per entrare in Piazza Grande, che fa profondere il medesimo impegno in tutte le cose che si fanno, che fa gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Ecco che allora avverto forte l’onore ed il privilegio di far parte di un gruppo vivo, compatto, coeso, conscio della propria forza e capacità, orgoglioso della propria storia, saldamente radicato nella cultura aretina!

Mai accontentarsi, ovvio; ma per realtà come la nostra i margini di miglioramento devono rappresentare uno stimolo e non la scusa per non dare il massimo.

Avanti tutta, Sbandieratori di Arezzo!

da “L’Alfiere” – n. IV – 2018, pagg. 4-5