Del Gruppo Sbandieratori molto è già stato scritto e rappresentato con foto e filmati e molto altro ci sarà ancora da raccontare per ricordare momenti e sensazioni che hanno accompagnato i suoi sessanta anni di storia. Questa volta voglio provare a seguire idealmente il percorso evolutivo subito dalle coreografie che, come sappiamo, sono affidate alla fantasia e alla responsabilità del direttore tecnico tempo per tempo incaricato dall’Associazione, non per stilare una classifica del più o meno bravo ma per cercare di rivivere insieme le emozioni che hanno suscitato negli attori (gli Sbandieratori) e nel pubblico. Grande merito va quindi riconosciuto ai primi due Direttori Tecnici, Vittorio Dini e Pasquale Livi, e a Stefano Giorgini, che ricopre tuttora il ruolo.

Senza nulla togliere a tutti coloro che hanno collaborato, aiutato e fattivamente realizzato i progetti, portandoli in esibizione nelle piazze d’Italia e del mondo, identificherei i tre momenti della storia citando solo il nome dei Direttori Tecnici, utilizzandoli come riferimento temporale. La premessa e la lettura del lavoro svolto va ricercata nell’identificazione degli Sbandieratori con gli originari vessilliferi dei quartieri della Giostra del Saracino e nel saggio del Gruppo durante la Giostra si riassumono gli sforzi e l’impegno a progredire nel tempo.

Vittorio Dini ha, come sappiamo, avuto l’onere ed il grande onore di partecipare alla creazione del Gruppo e alla contestuale ideazione e catalogazione dei primi movimenti, assemblandoli poi in coreografie di gruppo. Un lavoro straordinario e, per certi aspetti, visionario visto che quello di Arezzo è stato il primo Gruppo in Italia a presentare uno spettacolo collettivo.

Insegnante di educazione fisica e sicuramente non trascurando l’idea che gli alfieri aretini trovassero giusto inquadramento in contesti medioevali di carattere militare, Vittorio Dini improntò preparazione, allenamenti e saggi nel più stretto atteggiamento marziale, dove i movimenti della bandiera dovevano essere perfettamente identici, cadenzati dall’accompagnamento del tamburo o dallo squillo delle chiarine. Allineamenti e distanze misurate con la fettuccia e segnate nei selciati delle piazze, compresa Piazza Grande, prove e prove delle coreografie che impegnavano mesi di allenamenti con movimenti che venivano scartati anche all’ultimo istante perché ancora non perfettamente assimilati dal gruppo. Questa “ferrea” disciplina ha contribuito a formare e caratterizzare la “Scuola di sbandieramento Aretina”, imitata inutilmente da molti altri gruppi sorti successivamente al nostro. Naturalmente questo approccio comportamentale non consentiva trasgressioni o sviluppi coreografici particolarmente spinti ma la nostra forza, allora, era basata principalmente sull’aspetto rigoroso del portamento, del ritmo e dalla cadenza dei movimenti.  Le coreografie si evolvevano lentamente, passando dal famoso (per noi) “Rettangolare”, alla “Margherita”, al “Cerchio”, alcune varianti con schieramenti a “V”, “Due Cerchi” ecc.  Le variabili possibili si ritrovavano anche nella presentazione di saggi “Grande Squadra” (generalmente con 12 alfieri) e saggi “Piccola Squadra” (generalmente con 6 alfieri), ai quali si aggiungevano quelli con bandiere piccole o giganti (solitamente più alte e più larghe di circa 20 centimetri rispetto a quelle normali). Nel valutare le coreografie del periodo del Prof. Dini non va dimenticato che tutti gli alfieri partivano senza alcuna esperienza e che l’avvicendamento dei primi 12 fu abbastanza repentino e, quindi, ogni nuovo entrato doveva ripartire praticamente da capo nella preparazione. Questo causava un rallentamento nella possibilità evolutiva dei movimenti di gruppo, che trovavano nuovi interpreti nei singoli e nelle coppie che potevano sperimentare nuove coreografie, servite poi per l’evoluzione collettiva.

Questo tipo di “schieramento” e di esibizione ben si addiceva al contesto cavalleresco della Giostra del Saracino dove armati, balestrieri e cavalieri dovevano, anche se spesso non ci riuscivano, rispettare regole di comportamento militaresco. Con non celata soddisfazione possiamo dire che subito dopo l’esibizione alla prima Giostra il Gruppo conquistò immediatamente la stima ed il cuore del pubblico aretino e anche coloro che inizialmente si dichiaravano scettici di vedere “ballerine” danzare in piazza ne divennero entusiasti sostenitori e magari anche Presidenti dell’Associazione.

A questo periodo risale anche la coreografia della “Schermaglia”, messaggio di pace che è stato rappresentato immutato in Piazza Grande, oltre che in giro per il mondo, per decine di anni.

Man mano che il tempo passava le competenze tecniche degli alfieri crescevano, anche grazie al lavoro svolto con i singoli e con le coppie, e il gruppo aumentava le pressioni sulla direzione tecnica per dare nuovo slancio e dinamicità alle esibizioni, ma questa richiesta trovava resistenze perché l’aumento delle difficoltà comportava una perdita di precisione sulle posizioni e sui tempi di esecuzione.

Nel 1974 il Professor Dini, impegnato allora presso l’Università di Urbino, lasciò la direzione Tecnica a Pasquale Livi, che già dal 1962 faceva parte dell’Associazione, pur restando nel Consiglio Direttivo, dal quale tuttavia escì prima della scadenza del mandato per dissapori con la gestione di allora.

Nel periodo della Direzione Tecnica di Pasquale Livi il gruppo subisce la prima metamorfosi coreografica. Quelli sono anni in cui la permanenza nel Gruppo degli alfieri aumenta e si possono cominciare a sfruttare pienamente le accresciute competenze tecniche e ad elaborare coreografie più complesse anche se l’impronta originaria rimane per molto tempo saldamente impressa nei veterani che cercano in tutti i modi di pretendere che le nuove evoluzioni si svolgano nel rispetto dei dettami della scuola Aretina. Si abbandonano progressivamente i vecchi schemi dei saggi per dare maggior sfogo alla fantasia e si implementano le coreografie acrobatiche grazie alla partecipazione di un cospicuo gruppo di atleti che per anni hanno assicurato la loro presenza ed il loro impegno. La preziosa “Schermaglia”, fiore all’occhiello del nostro Gruppo, viene talvolta sacrificata, durante la Giostra del Saracino, per fare posto ad altrettanto accattivanti esibizioni acrobatiche.

In questo periodo, durante la Giostra, si realizzano spettacoli di notevole spessore coreografico che tuttavia sembrano esulare dal contesto cavalleresco che li ospita, in particolar modo riguardo alle musiche o alle dediche dei saggi rappresentati. Vengono schierati in piazza strumenti inediti per il Gruppo e mai più utilizzati: timpani e corni affiancano tamburi, trombe e chiarine per accompagnare idealmente lo spettacolo verso simbologie e riferimenti particolari. Si tende a presentare uno spettacolo nello spettacolo, dimenticandosi, forse, di far parte di un contesto senza tuttavia esserne gli unici attori. Fanno capo a questo periodo i saggi dedicati a “Leonardo da Vinci”, quello dedicato ai fatti di “Piazza Tienammen” o quello in ricordo del “Presidente Carlo Dissennati”, solo per citarne alcuni.

In questi anni si assiste, quindi, ad una metamorfosi delle esibizioni che introducono figure e concetti nuovi nelle coreografie che, come nel caso del Dini, pian piano si fermano su schemi consolidati senza progredire ulteriormente, più attente a mantenere la sicurezza degli esercizi che a osare nuovi confini.

Con il rinnovo delle cariche sociali del 2010, non essendo stato riconfermato nella carica di Direttore Tecnico, Pasquale Livi cede il ruolo a Stefano Giorgini, selezionato in una rosa che comprendeva anche altri candidati.

Il nuovo corso si confronta immediatamente con l’importante appuntamento dei cinquanta anni dalla fondazione del Gruppo, dando subito un segnale della successiva evoluzione coreografica: mai prima di allora così tante bandiere nel cielo di Piazza Grande. Dai giovanissimi ai veterani, che mai avrebbero sperato di poter varcare ancora una volta il cancello della lizza, passando per il  gruppo dei titolari, riservando ancora uno spazio per gli acrobati, vecchi e giovani, tutto questo sotto gli occhi vigili del “canuto” Vittorio Dini, che ammirava la sua creatura ormai adulta, scortato nell’ingresso in piazza da un alfiere d’eccezione,  quel Pier Paolo Imparati che, nel novero dei fondatori, aveva assistito il Professore nella ricerca delle figure e dei movimenti e che, con Luigi Salvadori, anch’esso presente in piazza e capace ancora di spiccare un volo ad angelo, aveva dato origine alla Schermaglia.

Diciamo che il battesimo di fuoco del nuovo corso era stato brillantemente superato ed apriva la strada ad un nuovo ciclo di coreografie con movimenti, lanci e scambi che hanno progressivamente soppiantato i vecchi schemi, facendoci abituare a performance con coefficienti di difficoltà veramente elevati.

Chi non è “del mestiere” probabilmente coglie solo in parte la difficoltà di certi movimenti e scambi ma basta soppesare solo qualche istante le nostre bandiere per rendersene conto. L’evoluzione dei movimenti non ha determinato, come è avvenuto per moltissime altre compagini, la modifica dei costumi e delle bandiere e tanto meno delle aste di legno che sin dal primo momento sono stati i nostri strumenti identificativi.

In questo ultimo periodo non ci sono stati saggi “dedicati”, come nel precedente, ma si tende ad esaltare la coreografia tentando di colorare l’intera piazza, sfidandone le insidie della pendenza, che altera non poco la velocità delle bandiere negli scambi, e l’ostacolo rappresentato dalla terra battuta su cui corrono i cavalli. Difficoltà fino ad ora escluse dalle performance per ridurre i rischi di caduta del vessillo.

Unica eccezione l’abbiamo incontrata con la Giostra del Saracino del 2018 che commemorava i cento anni dalla fine della Grande Guerra. In questa edizione il Gruppo è stato chiamato ad interpretare una difficilissima performance ispirata a quei tragici momenti. Il vento di guerra che attraversò l’Europa è sceso anch’esso in Piazza Grande nel preciso istante in cui le nostre bandiere venivano lanciate, come granate, da un alfiere all’altro, rendendo ancor più evidente la drammaticità del momento e le difficoltà del saggio.

Il Saracino è sempre stato il banco di prova della crescita del nostro Gruppo, la sperimentazione portata avanti con mesi di allenamento ed esibizioni veniva catalizzata nei dieci minuti più intensi dell’anno, quelli dedicati al pubblico della Giostra, sempre esigente ma in grado di manifestare grande affetto nel farci sentire parte del patrimonio cittadino.

da “L’Alfiere” – n. III – 2021, pagg. 10-13

Carlo Lobina