È quasi il caso di dirlo: “correva l’anno…”  perché di tempo ne è passato veramente molto, i capelli da neri sono diventati bianchi e la bandiera è stata lasciata, con un po’ di “sana invidia”, in mano agli alfieri più giovani e forse anche più abili. Ma i ricordi di quel viaggio sono ancora verdi, come fossimo appena scesi dalla scaletta del Boeing 747 che da Lisbona ci aveva portato a Johannesburg, in Sudafrica. Di questa trasferta è già stato scritto in un precedente, interessante, articolo del nostro Duranti, ma quello che volevo provare a condividere con voi sono alcune “istantanee” che si sono fissate nella memoria, piccole cose emotivamente significative, considerando anche l’eccezionalità del momento in cui sono state vissute. Tanto per cominciare ricordo che, qualche giorno prima della partenza, abbiamo dovuto fare un richiamo per il vaccino contro il vaiolo: poco più che un graffio in un braccio. Il fatto è che a molti ragazzi è venuta la febbre e si è gonfiata la spalla con grande preoccupazione per gli impegni che dovevamo affrontare nei giorni seguenti. Fortunatamente abbiamo superato velocemente la reazione e nessuno ha dovuto marcare visita anche per evitare canzonature e pesanti prese di giro. Altro particolare e vanto è stato volare sul Boeing 747, l’aereo a due piani. Avevamo già preso altri aerei ma volare con un aereo di due piani, all’epoca, era un fatto da raccontare e tutti, durante il volo, abbiamo preso le scalette per salire al piano superiore. A quei tempi, se ti raccomandavi con le hostess, potevi anche accedere alla cabina di pilotaggio. Prima e durante il viaggio non mancarono le raccomandazioni, andavamo in un paese dove ancora c’era l’apartheid quindi: non commentare fatti politici, non prestarsi ad alcun tipo di provocazione, tenere comportamenti corretti ed uscire obbligatoriamente in gruppo. Devo dire che non abbiamo mai avuto o percepito situazioni di pericolo: i nostri colori e le nostre bandiere suscitavano interesse e gioia e tutto si è svolto nel migliore dei modi, anche se tutte quelle raccomandazioni ti tenevano sempre “in campana”. Giungemmo a Pietermaritzburg a notte fonda; fummo ospitati in case private, in piccoli gruppi di due o tre per famiglia. Io e Rossi Fiorenzo fummo accompagnati ad una villetta in città, nella zona destinata naturalmente ai “bianchi”. Poi c’era la zona cuscinetto abitata dai “gialli” e, dalla parte opposta, la zona riservata ai “neri”. Inutile dire che i bianchi erano gli unici che potevano circolare in tutte le zone, anche se di notte nessuno si avventurava fuori dalle proprie. Visto l’orario eravamo a disagio nel suonare il campanello di gente sconosciuta, anche se sapeva che qualcuno sarebbe arrivato. Ci accolse una “rotondeggiante” signora di colore, avvolta in una vestaglia rossa sgargiante con un colletto di piume anch’esse rosse. Con Fiorenzo ci scambiammo sguardi tra l’incredulo, il meravigliato e il perplesso che cercammo di mascherare pronunciando una serie di frasi di circostanza in inglese. Nessun’altra persona si era presentata. Dopo un breve saluto fummo accompagnati alla nostra camera: una stanza completamente rosa, con raso e pizzi nelle tende e da ogni altra parte. La situazione sembrava ancor più equivoca e le illazioni e le risate ci tennero svegli ancora per un po’. La signora Charoline K. era la vedova di un imprenditore svizzero, gestiva e amministrava una fabbrica di calzature e vari negozi. Il giorno seguente abbiamo avuto modo di conoscerla: un personaggio estroso e stravagante, così solare che facemmo presto amicizia e ci fece sentire persone di famiglia. Ben presto sparirono tutti i pregiudizi del primo istante per lasciare spazio all’ammirazione per una persona capace di destreggiarsi in quel contesto, nonostante il colore della sua pelle, e di una simpatia diciamo “mediterranea”, pronta alle battute di spirito più che alle freddure inglesi. Per alcuni anni siamo rimasti in contatto, scrivendoci notizie e ricordando la nostra permanenza a Pietermaritzburg; all’epoca e-mail e cellulari ancora non cerano. Dovevi leccare una sfilza di francobolli, compresa la targhetta “posta aerea” se volevi far avere tue notizie. Meglio o peggio non so ma c’era più tempo per poter rispondere. Esibizioni a parte, numerose e di qualità, mi piace ricordare la visita al villaggio bantù, con la “stregona” (dovendo oggi dire “ministra” mi devo adeguare con “stregona”) e gli ossi divinatori, le vesciche di animali appese alle pareti della capanna; accessori che poi abbiamo ritrovato in vendita in alcuni negozi “specializzati” in città, a testimonianza della diffusione di certe pratiche mediche e di veggenza. Ancora i fiori, bellissimi, nati spontaneamente da tutte le parti o piante immense completamente fiorite. Infine a Durban, noi sulla spiaggia a fare i tuffi tra le onde e le persone che camminavano nel lungomare con pellicce e copricapi (eravamo in inverno ma le temperature per noi erano comunque estive). Solo in un secondo momento abbiamo saputo che tra quelle onde potevamo anche fare qualche brutto incontro, poiché le coste erano frequentate anche dagli squali. Ancora molti sarebbero gli episodi o i particolari da narrare e sicuramente tutti avrebbero da aggiungerne altrettanti. Io mi sono divertito a rispolverare questi ricordi e spero di essere riuscito a stimolare tutti coloro che hanno qualche cosa da raccontare di farlo, per non perdere questo patrimonio che ci lega tra noi ed al Gruppo.

da “L’Alfiere” – n. II – 2020, pagg. 2-3