Scrivere delle origini della Giostra del Saracino è sempre un argomento interessante e ricco di spunti. Negli ultimi anni molti studiosi hanno speso tempo ed energie per raccogliere documenti e testimonianze sempre più interessanti. Quella che negli anni Settanta e Ottanta del Novecento sembrava essere più una occasione di festa e di goliardia tra quartieri, è diventata di giorno in giorno una parte fondante della comunità aretina.

Prima di entrare nel vivo della questione, vorrei però parlare di quando ho incontrato io per la prima volta la “Giostra”. Non vivo dentro la città quindi non faccio ufficialmente parte dei quartieri, ma posso dirvi che ho fatto le elementari in via Pellicceria, quando ancora esisteva la scuola elementare G. Chiarini. Tutti i miei compagni erano in un modo o nell’altro appassionati. Alcuni vivevano addirittura in Piazza Grande. La maestra ci fece imparare l’inno del Saracino e tornai a casa cantando “Galoppa galoppa, o bel Cavalier…”.

Era naturale che approfondissi il mondo del medioevo e dei cavalieri.

Giostre, tornei e quintane sono solo alcune delle molte declinazioni dei giochi cavallereschi. Nel periodo medievale e poi in quello rinascimentale erano parte della vita sociale dei nobili e del popolo. La nobiltà era mediamente belligerante. In un contesto politico come quello toscano in cui ci si scontrava regolarmente tra guelfi e ghibellini e di conseguenza tra consorterie, l’esercizio militare era imprescindibile. Per questa ragione le famiglie nobili delle città facevano in modo di addestrare i loro cadetti per diventare cavalieri, o almeno capitani di ventura. Cosimo I dei medici, Granduca di Toscana, per esempio, era figlio di uno degli ultimi cavalieri di ventura: Giovanni dalle Bande Nere. Come potevano quindi dimostrare la loro potenza se non organizzando tornei? Le occasioni erano molte: visite di personaggi illustri, celebrazioni in onore del patrono e vittorie militari.

In tutto questo, come si poneva la Chiesa? nel 1157 l’arcivescovo Ottone di Frisinga si scaglia contro queste pratiche militari perché considerate sanguinose e lontane dallo spirito cristiano. In effetti, il rischio di ferirsi o addirittura morire, specialmente nel XII secolo quando queste competizioni hanno una larga diffusione, è alto. Ricordiamoci che erano momenti in cui i cavalieri cercavano di farsi notare dai nobili per poter essere ingaggiati durante le “vere competizioni”: le battaglie.

Detto questo, la nostra Giostra ha un elemento che accomuna il mondo politico e quello religioso e si tratta proprio del Saraceno, ovvero il Re delle Indie.  Secondo molti studiosi il nome è da legare alle Crociate. Nel medioevo era molto sentita la questione di riconquistare i territori della cristianità, avere quindi nella nostra competizione cavalleresca il nome di un nemico orientale, la lega fortemente al contesto delle crociate.

Questo è il cuore di tutto: lo spirito della competizione. Nel Medioevo Arezzo era una città fiera e guerriera, conosciuta in tutta la Toscana di allora per il suo spirito fiero e indipendente. Una delle prime testimonianze di una competizione cavalleresca simile all’odierno Saracino è quella in onore di Ildebrandino Giratasca, novello cavaliere, che nel 1260 organizza un torneo proprio in piazza Grande.

Saggio degli Sbandieratori in Piazza Grande in occasione della Giostra del Saracino del 1997

Il passaggio al mondo rinascimentale impone anche un cambio di passo nelle competizioni cavalleresche. Prendiamo un attimo in considerazione i vari tipi di esercizio militare che poteva essere scelto. Il torneo, la giostra, l’armeggeria, la quintana, la corsa sono tutte forme di gioco militare tipico della cultura europea praticato in “campo chiuso” con lancia e a cavallo in special modo tra l’XI e il XVII secolo (Treccani). In latino erano competizioni indicate genericamente come hastiludium, solo più tardi hanno preso il nome più specifico di tornaementum, passando probabilmente dal francese tornoier, che indicava il movimento rotatorio che si verifica in caso di competizione tra due sfidanti. Interessante anche la definizione di ludus Troianus, un modo forse di richiamare le epiche sfide tra gli eroi della Iliade, una lettura molto in voga in quei secoli e sicuramente di grande ispirazione per i cavalieri. Riflettiamo anche sul mondo romano. C’erano forse dei giochi assimilabili alle giostre? Secondo gli storici è molto difficile individuare nei giochi dei gladiatori un antenato diretto della giostra. Il motivo va trovato nel rapporto tra il cavaliere e la cavalcatura, totalmente, o quasi, assente nei giochi romani. Nei giochi medievali si aveva un rapporto stretto tra l’uomo e l’animale che erano un tutt’uno durante la competizione e condividono lo stesso destino rischiando in egual misura di ferirsi durante la competizione. L’evoluzione delle tecniche militari ha reso fondamentale e prestigioso il ruolo del cavaliere, che dalla sua posizione privilegiata poteva anche vedere meglio il campo e valutare la situazione dello scontro. Parlare però di come si svolgessero le battaglie ci porterebbe lontano dall’argomento. Abbiamo dunque parlato del valore militare dato ad un torneo, ma non abbiamo ancora parlato del valore giuridico. Arezzo, come tutta la Toscana attuale, ha profonde radici… longobarde. Come tutti sappiamo la nostra città ha origini etrusche e poi si è inserita nel mondo romano, ma alla caduta dell’impero la popolazione è vistosamente diminuita per molteplici cause. Quando il popolo “barbaro” dei longobardi ha valicato le Alpi ha trovato nella sua discesa verso Sud l’ambiente ideale per colonizzare, letteralmente, campagne e colline. Il risultato è stato di avere una classe dirigente, l’aristocrazia appunto, con forti legami con il mondo germanico. Non è un caso che si stia riscoprendo proprio in questo periodo il percorso della Romea Germanica, che passerebbe anche nei pressi della Fortezza di Arezzo (per ulteriori informazioni si veda ad esempio il sito del Comune di Arezzo nella sezione dedicata alla via Romea Germanica).

Le tradizioni inserite sono diverse da quelle del più posato diritto romano. Una delle consuetudini longobarde era quella di risolvere i conflitti tra le famiglie tramite un duello e non era raro che questo fosse spettacolarizzato. Naturalmente vinceva il più forte o il più abile, non sempre chi era dalla parte del giusto, ma in un mondo in cui si credeva che il re avesse un diritto divino di vita e di morte, questo era un elemento del tutto trascurabile.  L’ordalia è a tutti gli effetti un giudizio che viene dato attraverso “duello di Dio” con la folla (l’orda) che assiste e certifica il risultato mettendosi al servizio del divino. Questo aspetto ribalta completamente il fondamento del diritto romano, nel quale il magistrato utilizzava prove e indagini per determinare da quale parte stesse il tortoc (per riferimento: René Girard, L’antica via degli Empi).

A questo periodo storico risale la nostra la nostra giostra, una via di mezzo tra il desiderio dei giovani cavalieri di farsi vedere e avere ingaggi dai nobili e un momento di divertimento per la popolazione. Esiste ancora forte l’elemento del provare il proprio valore in campo. Il cavaliere deve mantenere il cavallo al galoppo, deve tenere la lancia salda e mirare il centro del tabellone tenuto dal Buratto, naturalmente evitando di essere colpito con il mazzafrusto. Sto prendendo in considerazione la competizione come è oggi, quindi non posso giudicare come si svolgesse esattamente nel XII secolo, ma le regole sono tratte da una giostra che si è tenuta nel 1677. Ancora avvolta nel mito è il ritrovamento di questo documento. Nel 1930, secondo la leggenda, il giornalista della Nazione Bennati stava cercando una ricetta negli archivi della biblioteca di Arezzo e sarebbe incappato in un documento riguardante le regole della Giostra che si era svolta ad Arezzo. In quel documento si identificava il Buratto come il Re delle Indie e da allora ha sempre mantenuto quel titolo e due servitori vestiti all’orientale che hanno il compito di riarmarlo dopo aver sostenuto i colpi dei cavalieri.

Gli archivi della famiglia Tarlati hanno anche restituito carteggi tra i nobili aretini e la Curia avignonese riguardanti i festeggiamenti ad Arezzo che comprendevano proprio giochi con la lancia. La causa di tanta gioia era una missione diplomatica in terra di Francia, per questo tutta la popolazione della città era chiamata a festeggiare e godersi un momento di meritato riposo (si veda anche il sito internet del quartiere di Porta Crucifera).

Lance d’oro del Quartiere di Porta Crucifera

Altri momenti di festeggiamenti erano le ricorrenze religiose. Abbiamo una ampia documentazione dei festeggiamenti e dei tornei, ma mai una cadenza precisa, proprio a causa del carattere estemporaneo di questi tornei aretini. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso si è cercato sempre più di dare un carattere regolare all’evento e si è passati da una Giostra a due all’anno. La dedica alla Madonna del Conforto e a San Donato ricordano la tradizione dei festeggiamenti durante le feste religiose.

A Firenze si trova una cappella molto particolare riccamente decorata da Benozzo Gozzoli. Si tratta della Cappella dei Magi in Palazzo Medici Ricciardi, vi assicuro che all’epoca fu uno scandalo. La meravigliosa sfilata di armigeri, cavalieri e soldati ricordava da vicino uno dei numerosi cortei cavallereschi tenuti in città dai giovani fiorentini. Dove è lo scandalo? I volti dei Magi sono i ritratti dei giovani eredi della famiglia Medici. Nessun “borghese” aveva ancora osato tanto. Nobili e i futuri mercanti che animeranno la vita politica italiana amano festeggiare così, scegliendo uno dei tanti tipi di competizione. Dobbiamo registrare come il carattere bellicoso del torneo sia ormai sfumato nel passaggio tra il medioevo e il Rinascimento. nel 1648 si svolge a Bruges il torneo a tema Passo dell’albero d’Oro organizzato per festeggiare il matrimonio tra Carlo il Temerario e Margherita di York. Si tratta di una rappresentazione teatrale di ispirazione militare in cui i partecipanti sono più attori che cavalieri, si segue la falsariga del duello cortese in cui una dama chiede al suo cavaliere di compiere un’impresa per lei: in questo caso rompere un certo numero di lance in combattimento.

La perdita del ruolo della cavalleria come vero strumento di guerra ha ormai reso una pratica pensata come esercizio militare e come metodo per evitare conflitti ben più sanguinosi, in una sorta di rappresentazione favolosa da arricchire con scene tratte dalla letteratura.

Tra il Seicento e il Settecento abbiamo un numero limitato di documenti che attestano una giostra e dobbiamo aspettare il compleanno di Napoleone Bonaparte per avere nuove informazioni sulle competizioni cavalleresche ad Arezzo. Dopo il 1810, dunque, non abbiamo notizie sulla nostra amata competizione fino al 1904.

Nel 1904 al Prato si esibirono in una giostra i Dragoni di casa Savoia per festeggiare il centenario della nascita del poeta Francesco Petrarca, aretino. Di sicuro questo evento non aveva due caratteristiche: la competizione a cavallo con la lancia e lo scenario di Piazza Grande. Le caratteristiche peculiari, come è noto, vennero introdotte a partire dal 1931, nel tentativo di dare più aderenza storica alla nostra competizione cavalleresca.

A proposito del premio, un tempo non era certamente una lancia d’oro. In uno dei più antichi documenti sulla Giostra ad Arezzo, 6 agosto 1535, riguarda la manifestazione organizzata dal Comune per la ricorrenza del Santo Patrono della città, San Donato. Premio per il vincitore, un palio violaceo del valore di 35 lire, un oggetto di grande valore nel Medioevo (Dini-Magrini). Avere come premio un panno di pregio, spesso dipinto, è in linea con quanto veniva effettivamente elargito nel medioevo. Il comparto del Casentino e Firenze erano ben noti per la loro manifattura tessile, avere “panni” raffinati era considerato un premio prestigioso.

La data di nascita della prima giostra moderna è il 7 agosto 1931. La competizione assomigliava molto a quella odierna, ma di sicuro era più teatrale e non aveva tenuto conto delle antiche divisioni dei quartieri. Già dalla seguente edizione i quartieri tornano ad essere… quattro. Della prima edizione esistono alcuni piatti commemorativi che definiscono i quartieri “rioni”. Come abbiamo avuto già modo di vedere, la Giostra ha compiuto molti passi in avanti per arrivare ad essere il più possibile aderente alla storia cittadina. Forse può essere considerata una curiosità che la prima corsa non fosse pensata per attraversare diagonalmente Piazza Grande, ma seguiva il percorso di via Bicchieraia, facendo correre i cavalieri in salita verso, indicativamente, Borgunto.

In chiusura di questo articolo, vorrei ricordare alcuni dei personaggi illustri, di cui abbiamo notizia, che hanno visitato la città di Arezzo e hanno assistito ad una Giostra fatta in loro onore. Nel Cinquecento partecipano ai festeggiamenti il duca di Firenze Alessandro dei Medici e quarant’anni più tardi il Granduca Ferdinando I dei Medici, uno dei pochi davvero amati dagli aretini. Nel 1677 alla presenza del Barone de Sisi si svolge una giostra della quale ci rimangono i capitoli ed è alla base di molte delle regole odierne.

L’abitudine di avere ospiti illustri alla Giostra e di celebrali tramite lo spettacolo non si è perduta nel tempo anche se non abbiamo notizie certe sulle giostre successive a quella del 1677.

Alberto Sordi, ospite d’onore della Giostra straordinaria del 2000

Il principe Umberto di Savoia e la principessa Maria Josè visitano la città nel 1938 proprio in occasione della 39° edizione estiva, lo spettacolo fu particolarmente apprezzato dai principi, da quanto risulta dai giornali dell’epoca (Berti Luca – La vittoria conseguita nel 1931 dal rione di Porta Burgi nella lunga vicenda della Giostra del Saracino).

Nel 1984 è il presidente Sandro Pertini a tenere tra le mani la lancia d’oro e a consegnarla nelle mani del quartiere di Sant’Andrea. Nel 2000 la lancia d’oro numero 100 è dedicata al grande Alberto Sordi, che festeggia in piazza e nel Quartiere che ha vinto: Porta Crucifera.

In chiusura, vorrei ringraziare l’Alfiere per avermi dato la possibilità di scrivere questo articolo, spero possa essere di spunto a tutti gli appassionati della nostra amata Giostra per portare avanti questa bellissima realtà.

 da “L’Alfiere” – n. II – 2023, pagg. 10-13

Chiara Barbagli