Pieve Santo Stefano è un luogo dal quale passano le strade che uniscono la Toscana, l’Umbria e l’Emilia-Romagna, ma grazie alla Fondazione dell’Archivio Diaristico sono infinite le storie delle persone che passano da questo luogo. Natalia Cangi ha raccontato alla Rivista l’Alfiere l’importanza del raccogliere in un unico luogo i diari di persone comuni e del saperli leggere in modo utile a ricostruire i costumi, la storia e le emozioni che hanno segnato epoche antiche e tempi presenti. L’Archivio Diaristico svolge questa funzione dal 1991 con riconoscimento ministeriale, un museo, un’attività di studio e raccolta costante e un premio annuale che celebra e promuove la cultura del diario.

Qual è la definizione più corretta di diario?

La parola deriva dal latino dies e il diario si presenta, nella maggior parte delle ricorrenze, come un’annotazione giornaliera di avvenimenti, di impressioni e di stati d’animo di chi scrive. Ma è anche il luogo dove presentarsi a sé stessi, prendere un foglio o accedere a una pagina vuota di un computer e iniziare a raccontarsi, giorno dopo giorno. Ci sono poi vari generi di “diari”: il diario di viaggio, il diario intimo o il diario di guerra (per fare alcuni esempi). Generi che si possono trovare nella letteratura “alta” o in un archivio come il nostro che raccoglie da quarant’anni testimonianze autobiografiche, inedite, di persone comuni.

Racconti di persone comuni che uniti insieme restituiscono un’importante narrazione della storia.

L’atto di mettere insieme e di far confluire in un unico luogo fisico le storie private delle persone, con l’obiettivo di costruire l’affresco variegato di un Paese intero, attraverso le voci di chi lo vive o chi lo ha vissuto, risponde all’idea di creare un punto di riferimento tangibile, una sorta di monumento alla vita e alla dignità delle persone. Si tratta di un monumento dinamico poiché l’affluenza dei diari è continua, quindi il processo di definizione e costruzione dell’identità e della memoria collettiva è in continua evoluzione. Questo aspetto si coglie maggiormente attraverso gli avvicendamenti storico culturali e sociali che modificano la percezione di sé stessi in relazione al periodo vissuto.  Il ‘900 è stato il secolo delle Guerre mondiali e delle migrazioni e, proprio questi eventi, hanno incoraggiato le persone comuni a raccontarsi con maggiore urgenza. Un racconto, dal basso, sotto forma di scrittura diaristica. Oltre al diario in senso stretto, il patrimonio dell’Archivio comprende gli epistolari, le memorie e le autobiografie.

Il dibattito se la scrittura diaristica di persone comuni sia da considerarsi una forma “letteraria” è ancora aperto. A noi piace pensare a una particolare letteratura, dal basso appunto, e i casi “letterari” come il diario scritto da Clelia Marchi su un lenzuolo a due piazze o la straordinaria autobiografia di Vincenzo Rabito, hanno rafforzato la nostra convinzione che a Pieve: “si è messa in moto l’idea che anche da certi documenti personali, estranei alle logiche di mercato, si può ricavare un filone nuovo di letteratura” (Saverio Tutino ).

Anche gli avvenimenti moderni possono essere al centro di diari? Ci sono differenze con quelli storici?

Nell’Archivio sono conservati i diari della Prima e della Seconda guerra mondiale, il loro contenuto riflette ciò che hanno vissuto, in circostanze drammatiche ed eccezionali, gli uomini e le donne che ci hanno preceduto; il cui lascito, da tutelare e da trasmettere, costituisce un prezioso tassello nella costruzione della memoria collettiva di un paese. Questi diari, dicevamo, hanno modalità espressive straordinarie, rese drammatiche dal contesto di cui sono figlie, e riflettono pagine di storia collettiva attraverso la lente della soggettività. I diari della Resistenza o i diari dalle trincee ci danno la possibilità di immergerci in testimonianze di vita vissuta che non avremmo altrimenti conosciuto. Ci sono anche diari di viaggio molto particolari, penso ad esempio a quelli ottocenteschi che evocano, da una prospettiva tutta italiana, il fascino del Grand Tour. Questi scritti conservano il sapore di un’epoca che oggi si è perso.

In tempi di pandemia abbiamo ricominciato a raccontarci con convinzione. Lo testimoniano i diari che sono giunti all’Archivio negli ultimi due anni.  Sono quasi duecento le persone che hanno voluto lasciare traccia di sé in questo particolare contesto e altre ne verranno. Sono scritti ancora non sedimentati: troppo recenti per poter capire se queste pagine siano in grado di indagare pienamente la condizione che abbiamo vissuto. L’importante per noi dell’Archivio è sottrarle alla dimenticanza e assicurare loro un futuro. Per il momento, dal mio punto di vista, questi scritti ci riportano, con le loro mille sfaccettature, al nostro vissuto in tempi di pandemia globale. Permeati e spesso scanditi dalle notizie prontamente fornite dai media, raccontano e ci rendono consapevoli dell’importanza di fare testimonianza in periodi di straordinaria eccezionalità. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’evento pandemico è stato forse, il primo momento nella storia recente, nel quale persone, di tutte le classi sociali ed età anagrafiche, hanno avvertito l’urgenza di scrivere per condividere, con altri individui, un evento eccezionale, collettivo, come una pandemia. Questo ricorso alla scrittura non si è registrato, ad esempio, per i fatti dell’11 settembre 2001 o per il terrorismo negli anni Settanta e Ottanta del Novecento, non si vede per le guerre che insanguinano, oggi, il mondo.

Il mondo dell’editoria sta vivendo un periodo di mutamento. Si continuano a scrivere i diari anche oggi?

L’entità dei libri stampati credo, sia in realtà in costante aumento, per un bisogno delle persone di autenticarsi anche attraverso la scrittura. Tutto ciò è possibile anche grazie a una nuova sensibilità degli editori e delle piattaforme online dedicate a questo scopo. La scrittura diaristica sotto l’aspetto quantitativo continua a crescere e a stratificarsi. Negli ultimi anni, come Archivio, abbiamo accolto circa 370 nuovi autori all’anno. Tante sono le persone che ci hanno donato un diario, una serie di diari, di lettere, di memorie. Il lavoro di lettura, catalogazione, conservazione e digitalizzazione dell’Archivio diaristico caratterizza un flusso di attività che si sono sempre incrementate e che non si sono mai interrotte. Le persone scrivono, molte al computer, molte pensando ad una futura pubblicazione, molte con una forte motivazione, spesso mettendosi a nudo ed utilizzando, a volte, la scrittura come una forma di terapia.

Risiede proprio in questo l’essenza di un buon diario.

Lo penso anche io. Il diario ancora risponde al bisogno che c’è di raccontarsi e di tramandare la propria esperienza. A volte si “legge” la sofferenza di chi arriva all’Archivio con il proprio “carico” di vissuto, raccolto in poche o moltissime pagine. Chi scrive un diario non lo scrive per una sola occasione, ma per sedimentare un’esperienza, per raccogliere i mutamenti di una vita, come in un romanzo (o diario) di formazione. Alcune persone ci affidano gli scritti che hanno ritrovato in casa, di cui ignorano perfino l’esistenza; altre si presentano e ci investono della responsabilità di prenderci cura delle loro pagine a volte liete, ma più spesso complesse. Un atto di fiducia, prezioso e speciale per una istituzione come la nostra.

Oggi i social richiamano molto la forma del diario e le lettere sono diventate delle e-mail. Come vi rapportate a questo fenomeno?

La questione delle e-mail è un tema che abbiamo già affrontato nei primi anni Duemila. Due ingegneri, Andrea Francini e Carmine Rizzo, dai caratteri profondamente diversi, “due cervelli in fuga”, lasciano l’Italia per la Scozia e per gli Stati Uniti.  Mantengono viva la loro amicizia giocando sulla metafora calcistica, raccontando la propria esperienza di ricercatori all’estero, scambiandosi un ricco epistolario e-mail intitolato: “La cura Reja”, in onore all’allenatore di serie A. Un altro diario a suo modo emblematico e speciale è quello di Valerio Daniel De Simoni, italiano nato a Sidney, venuto a mancare a soli ventiquattro anni, nel 2011, in Malawi. Nel giugno del 2010 Valerio, insieme a due amici, prepara un’impresa straordinaria: attraversare l’Europa, l’Africa e rientrare quindi in Australia per battere il primato mondiale di percorrenza su moto Quad, con l’intento di raccogliere fondi per aiutare due villaggi africani e sensibilizzare le persone sui temi ambientali. Valerio Daniel scrive un diario cartaceo, intimo, ma parla anche a un pubblico utilizzando Facebook, Skype, i messaggi, le mail, i blog e le conferenze stampa. Alla morte di Valerio, sua madre ha donato all’Archivio il diario manoscritto e ha messo in dialogo, seguendo il criterio cronologico, tutte le forme di scrittura utilizzate dal figlio. Unendo di fatto la scrittura pubblica dei social e la scrittura privata del diario.

Sulla rivista l’Alfiere pubblichiamo i racconti, le riflessioni e i resoconti delle nostre esibizioni in Italia e nel mondo. All’inizio era un modo per raccogliere storie divertenti o memorabili ma, con il passare del tempo, lo stratificarsi di questi racconti sta formando un vero e proprio diario dell’Associazione Sbandieratori. Quali consigli ci puoi dare per raccontare al meglio le nostre trasferte?

Lo trovo un bellissimo gesto che richiede sensibilità, attenzione e cura. Uno stratificarsi di esperienze che testimonia come un diario, che nasce con un obbiettivo, possa poi diventare lo specchio di un’evoluzione. Il primo consiglio che mi sento di darvi è quello di dare una prospettiva storica ai racconti e ai luoghi che avete attraversato e che si sono interconnessi con la “vostra” vita. L’esperienza che si vive facendo conoscere la storia e la tradizione degli sbandieratori in luoghi diversi nel mondo, unita al racconto intimo di pezzi di vita delle persone che compongono il vostro gruppo, mi sembra davvero molto interessante sotto molteplici punti di vista. Un altro consiglio, che è soprattutto un invito, è quello di depositare questo vostro diario esperienziale presso l’Archivio dei diari, unendosi alle tante altre testimonianze che ci aiutano a comprendere il nostro tempo da prospettive diverse e come nel vostro caso molto originali.

da “L’Alfiere” – n. I – 2023, pagg. 10-11

Lorenzo Diozzi