Nella memoria del Gruppo Sbandieratori le trasferte in terra australe occupano un posto speciale, determinato certamente da quella estrema lontananza geografica che ti lascia un senso di esotico, di “distanza siderale”. Siamo abituati per condizione antropologica, noi Sbandieratori, al viaggio… ci siamo sempre definiti “ambasciatori della nostra terra nel mondo” e al lettore apparirà evidente quanto possa essere stata allettante una trasferta di circa due settimane nella costa occidentale australiana, nella città di Perth, per partecipare ad una serie di iniziative legate al commercio agricolo.

La squadra, particolarmente agguerrita e motivata, si trova catapultata in una realtà urbana di circa due milioni di abitanti, dal sapore britannico e coloniale. Al di là delle caratteristiche ordinate e moderne della downtown commerciale, Perth ci interessa per la sua prossimità con una costa davvero splendida, che raggiungiamo nei momenti di libertà dalle esibizioni, in treno. A questo proposito va ricordata una conversazione memorabile fra il nostro fantastico Stefano Bulletti e una signora del posto sul modo corretto di pronunciare una serie di località. Non c’è niente da fare: la nostra spontaneità e simpatia vince su tutto, abbattendo barriere linguistiche e culturali… anche questo è e resta da sempre il nostro valore aggiunto!

Chi vi scrive ha ricordi particolarmente cari di un clima generale nella trasferta all’insegna della semplicità nel divertirsi: il mettere insieme in una grande stanza Paolone, “Ucellino”, il Tinti, Piero Pedone e il sottoscritto a scegliere il miglior modo per “terrorizzare” una vittima sacrificale particolarmente intelligente e che sa stare al gioco come Pier Alberto Faralli, oggi tamburino navigato, all’epoca giovane virgulto di belle speranze! La decisione fu, come spesso capita in trasferta, di “smontargli” la camera da letto e fargliela ritrovare accatastata in un angolo. Con un po’ di pazienza – senza le istruzioni Ikea – e qualche ora di lavoro riuscirà a ricomporre il tutto!

Ma al di là dei nostri siparietti ludici, ci siamo concentrati sulla grande occasione rappresentata da una trasferta come raramente può capitare. Se infatti un giovane sbandieratore oggi può sentire meno l’attrattiva di viaggiare gratuitamente rispetto ai decenni passati per l’introduzione di politiche del turismo low cost, l’Australia rimane meta lontana, ambita e costosa e quindi negli occhi e nei gesti di molti di noi è perdurato un forte senso di “occasione irripetibile”, che ha accomunato tutti i partecipanti alla spedizione.

A colpirci, un sapore di frontiera, la presenza di deserti in prossimità di luoghi marittimi di dimensioni e prospettive oceaniche, la luminosità di un cielo australe che ci trovava in silenzio contemplativo. Ricordo con precisione lo sguardo all’orizzonte di Marco Vanni sugli scogli di fronte ad un’epica mareggiata, la sabbia fine e bianchissima delle dune desertiche che raggiungiamo dopo ore di viaggio… perché l’Australia significa anche questo: distanze enormi che per il cittadino australiano non appaiono tali. Ma noi europei ci portiamo dietro – in una coscienza antica e geograficamente circoscritta – un senso di finitezza che non è abituato a maneggiare lo sconfinato, gli spazi silenziosi pieni di nulla. Si attraversano, nel raggiungere il deserto, paesini di poche case di legno, punti di sosta nei quali lasciamo graffiti e scritte a testimoniare la nostra improbabile quanto orgogliosa presenza: un “sono stato qui” che ci entusiasma. Soltanto raggiungendo Perth se ne comprende la peculiarità principale: è distante da tutto e rappresenta per l’Australia stessa un luogo a parte. Il lettore deve immaginarsi che se già l’Australia è il luogo altro per eccellenza, Perth ne rappresenta la massima espressione: è la città più isolata del continente e forse del mondo giacché il centro abitato più vicino è Adelaide, che dista 2700 km. Come ricordano svariati siti turistici che ne celebrano le bellezze e l’esoticità “paradossalmente Perth si trova più vicina a Jakarta, città dell’Indonesia, che alla più vicina città australiana. (…) questa posizione isolata reca con sé molti vantaggi. Prima di tutto perché Perth si trova completamente immersa in un contesto naturale unico al mondo, ma anche perché tra le principali città australiane è quella presa meno d’assalto da chi vuole vivere un’esperienza di studio e lavoro nella terra dei canguri. Inoltre qui è possibile immergersi nella più autentica cultura australiana, perché la città – proprio a causa del suo isolamento – è meno sottoposta agli influssi di culture straniere, come invece accade a Sydney o Melbourne”.

Il luogo su cui sorge oggi Perth, sull’Oceano Indiano, ha visto, fin dal XVII secolo, spedizioni olandesi e poi una presenza britannica che ha determinato nel 1829 la fondazione della città. Questa area del continente australe era occupata per secoli dalla tribù Nyoongar della cui presenza si hanno tracce che risalgono ad almeno 40mila anni fa. La colonizzazione britannica ottocentesca del Nuovo Mondo ebbe come conseguenze l’istituzione del cosiddetto “sistema”, un meccanismo di deportazione coatta di galeotti e prostitute dalla Gran Bretagna per popolare con presenza bianca ed europea un territorio immenso. Il razzismo necessario allo sradicamento della cultura indigena locale si è manifestato in tutta la sua brutalità sfruttando proprio la disperazione del deportato europeo al quale si concedeva la libertà dalla prigione mettendosi al servizio delle mire coloniali della madre patria. Perth, sul fiume Swan, venne edificata proprio da quei galeotti che dovevano fornire braccia al progetto di penetrazione sulla costa occidentale del continente ma fino alla scoperta dell’oro nella regione alla fine dell’Ottocento questa zona si era sviluppata molto più lentamente rispetto ai principali insediamenti della costa orientale.

La nostra presenza a Perth ha registrato il consueto grande successo di pubblico, nonostante la caoticità e i problemi logistici di esserci esibiti all’interno di una grande fiera commerciale, con spazi angusti e le sfilate rese difficili dalla ressa del pubblico. Come sempre, non ci siamo scomposti ed abbiamo lavorato con orgoglio e bravura portando i nostri colori e i nostri suoni. Nel concludere questo ricordo di una trasferta memorabile vorrei precisare la preoccupazione ricorrente per un tamburino come il sottoscritto che ogni qual volta si esibisce col Gruppo in terre di cultura britannica sa di doversi confrontare con la loro meravigliosa tradizione del tamburo militare. Con umiltà abbiamo suonato sapendo di trovarci in presenza di sguardi e orecchie competenti, ma rinfrancati dalla consapevolezza che se i nostri tamburi potevano rappresentare un già visto e un già sentito, ben diversa era qui la novità di veder volteggiare le nostre bandiere, ascoltare le nostre trombe e veder sfilare il nostro ordine formale fatto di colore e movimento.

da “L’Alfiere” – n. I – 2018, pagg. 6-7