Difficilmente una trasferta del gruppo sbandieratori può definirsi complessa e controversa come quelle in Sudafrica risalenti a circa quaranta e trent’anni fa. Le ragioni sono chiaramente note: il governo sudafricano sì è distinto nella storia del secondo dopoguerra come una forma politica che ha istituzionalizzato il razzismo addirittura inserendolo nella propria carta costituzionale. Fuori da qualunque ragionamento di carattere politico contingente, attenendoci agli aspetti più strettamente storici, il Sudafrica ha rappresentato un triste progetto politico di colonialismo “fuori tempo massimo”. Le cronache e il mondo della informazione ci hanno abbondantemente ricordato la figura di Nelson Mandela, ma con maggiore difficoltà, tolto questo profilo dalla retorica cinematografica, l’individuo è in grado di cogliere tutta la portata della offesa per l’umanità di sistemi politici che fanno della differenza razziale un principio politico e finanche giuridico. L’immobilità del sistema di apartheid determinò la presa di posizione della comunità internazionale che impose sanzioni economiche al paese. È anche in questo contesto che il gruppo sbandieratori in due occasioni – nel 1979 e nel 1988 – accettò, pur all’interno di un dibattito articolato, l’invito da parte di istituzioni locali sudafricane. Non si trattava soltanto di rispondere a parti politiche della città di Arezzo che chiedevano di rifiutare l’invito ma anche di riflettere sul significato del ruolo del gruppo sbandieratori in quel contesto geopolitico. Non possiamo quindi evitare una considerazione legittima: in che misura la accettazione di una presenza in un contesto chiaramente illiberale può diventare un avallo e una legittimazione politica? Fino a quando è lecito essere distanti dalla politica se questa comunque condiziona le nostre vite più o meno direttamente sia come singoli sia come istituzione? A tutto questo è giusto che rispondano i lettori e i testimoni diretti di quelle due spedizioni sudafricane. A chi scrive spetta soltanto il ricordare, riorganizzare elementi descrittivi, e fornire un contributo di riflessione al pubblico del nostro giornale.

La prima occasione di viaggio in Sudafrica fu dal 17 al 29 maggio 1979 presso la cittadina di Pietermaritzburg nel contesto del Royal Show, una fiera agricola dalle caratteristiche tipicamente anglosassoni. Proprio le condizioni dell’embargo al quale il Sudafrica era sottoposto in quegli anni dalla comunità internazionale facevano sì che la compagnia di bandiera la Sud African Airlines si fosse dotata di una flotta di Boeing 747 modificati con meno posti passeggeri e maggior spazio per imbarcare carburante così da poter volare direttamente senza scali dall’Europa al Sudafrica. In quella occasione il gruppo volò attraverso la tratta Lisbona-Johannesburg.

La squadra del gruppo sbandieratori (alla quale si aggregò il celebre antiquario aretino Ivan Bruschi) venne ospitata in abitazioni, praticamente tutte ville, di immigrati europei. La comunità italiana (composta in buona parte da ex muratori e carpentieri italiani che dopo decenni di lavoro erano diventati più che benestanti) aveva contribuito alle spese del soggiorno e organizzato un ricevimento di benvenuto. Carlo Lobina ci ricorda che anche quella città presentava una divisione urbana in tre zone: quella bianca, un “cuscinetto” occupato da etnie asiatiche ed infine la parte destinata ai neri. Le differenze socio-urbanistiche erano naturalmente evidenti, come nel resto del Paese. Dislocati quindi in residenze private nel contesto della cittadina di Pietermaritzburg il gruppo venne dotato di due pulmini Toyota gestiti in autonomia e guidati da Pasquale Livi e Sergio Rossi. Quest’ultimo mi ha ricordato l’iniziale smarrimento di fronte a un mezzo di quel tipo con la guida sinistra, tipica del sistema anglosassone. Le esibizioni del gruppo si svolgevano all’interno dell’area della fiera ma ci fu comunque l’occasione di recarsi in visita alla città di Durban. Qui il gruppo ebbe l’occasione di sperimentare la confluenza degli oceani Indiano e Atlantico, fare il bagno in quelle correnti e, solo dopo, scoprire che le lunghe barriere di protezione erano per tenere alla larga gli squali! La paura per lo scampato pericolo, anche se scoperto postumo, venne decisamente lenita da una ricca mangiata di pesce (invitarci a buffet presenta sempre i suoi rischi!) in un ristorante di Durban nel quale il gruppo venne ospitato dalla comunità italiana.

La seconda occasione di trasferta in Sudafrica si verificò circa nove anni dopo, a Johannesburg e Soweto per il Carnevale Internazionale, dal 17 Agosto al 5 Settembre 1988. Se nella trasferta precedente il gruppo aveva visitato un villaggio Zulu dalle caratteristiche più marcatamente turistiche, la presenza in costume degli Sbandieratori nella township di Soweto ha rappresentato un salto importante in termini di consapevolezza delle condizioni sociali del paese. Nonostante che il 1988 lasciasse presagire la fine di un sistema (come di lì a pochi anni si verificò con la scarcerazione e l’elezione a presidente della Repubblica di Nelson Mandela) le misere condizioni dell’immenso quartiere nero di Johannesburg hanno colpito profondamente il gruppo. È evidente comunque che l’occasione di visitare un meraviglioso paese come il Sudafrica dal punto di vista degli spazi e delle caratteristiche geografiche naturali, sia stata preziosissima: sia nel 79 che nell’88 ci sono state frequenti occasioni di immersione nello spirito gioioso e goliardico del gruppo come con entusiasmo tutti ricordano. Nella prima occasione perfino una partita di calcio contro giocatori locali dai fisici prorompenti; nella seconda è rimasta nella memoria una splendida escursione a cavallo da parte di tutto il gruppo.

L’occasione per ricordare questa importante esperienza sudafricana, giustamente da inserire all’interno della rubrica dedicata alle trasferte memorabili, è certamente il trovarsi adesso a quarant’anni esatti dalla prima di queste due trasferte. Sono tanti anni, costellati da numerose rivoluzioni da parte del gruppo sbandieratori. Tantissimi volti sono cambiati; sono cambiate bandiere e costumi; sono cambiati i vertici amministrativi, tecnici e direttivi. Non è cambiato lo spirito con il quale il gruppo continua, allora come oggi, a girare il mondo con i propri colori e le proprie competenze tecniche, acrobatiche e musicali. Ma credo sia importante chiudere queste note ricordando un aspetto sorprendente: in quella prima trasferta del 1979 c’erano un tamburino e due sbandieratori che esattamente mentre scrivo queste note stanno preparando i bagagli per andare in trasferta in Spagna a Medina del Campo. A Sergio Rossi, Piero Pedone, Carlo Lobina, dedico quindi non soltanto questo articolo ma un forte abbraccio per l’amicizia e per tutto quell’impegno che nei decenni hanno saputo regalare a questo gruppo. Un gruppo che nel tempo si alimenta della linfa dell’entusiasmo dei singoli e degli occhi pieni di esperienza di sbandieratori che come loro hanno dimostrato fedeltà, appartenenza, dedizione a un collettivo che fa della memoria il proprio valore fondante.

da “L’Alfiere” – n. III – 2019, pagg. 4-5