È stato un vero piacere, oltreché quasi un dovere, incontrare Marco Manneschi, per parlare con lui della sua esperienza quale Presidente della nostra Associazione fra il 1997 e il 2001. Piacevole e doveroso perché Marco, insieme alla consueta schiettezza e amabilità, emerse peraltro anche durante il nostro colloquio, ha caratterizzato il suo mandato con esperienza, equilibrio e competenza in un periodo non facile per gli Sbandieratori. Manneschi era infatti succeduto alla Presidenza al compianto Carlo Dissennati, prematuramente scomparso, primo e storico Presidente dell’Associazione e ha gestito la non facile fase di distacco progressivo del Gruppo dall’APT, a seguito delle vicissitudini istituzionali ed organizzative che in quegli anni ebbero tali Uffici.

Marco, qual è la prima immagine, il ricordo, l’emozione che ti vengono in mente pensando alla tua esperienza alla guida degli Sbandieratori?

Carlo Dissennati. Sì, mi viene in mente subito e per primo questo ricordo, questa immagine. Il ricordo di una persona straordinaria che ho conosciuto proprio in quanto lui Presidente degli Sbandieratori ed io, dal 1991, Presidente dell’Apt e quindi indissolubilmente legati dal rapporto istituzionale. Che però, piano piano, nel tempo è cresciuto e si è sviluppato, diventando stima, rispetto e fiducia reciproci, amicizia. I ragazzi sono una cosa spettacolare, con le loro capacità tecniche, la loro freschezza e la forte emotività, la loro gioia di vivere. La figura di Carlo, così forte e caratteristica è stata invece per me, una vera scoperta e credo di esserlo stato un po’ anch’io per lui. Ci siamo conosciuti in occasione della trasferta di New York, in cui eravamo rimasti senza albergo e ci fu un parapiglia tra me e il maitre, una persona di colore di due metri, dove rischiai di avere la peggio, perché eravamo quasi arrivati allo scontro fisico. Ricordo sempre in quella occasione, come una sera, dopo la cena, lui incantò tutti noi e gli astanti quando iniziò a declamare un intero Canto della Divina Commedia. Nacque, ripeto, una reciproca stima e il passaggio del testimone alla guida dell’Associazione forse fu la naturale conseguenza.

E fra le trasferte, quali ti sono rimaste impresse?

Auckland in Nuova Zelanda, nel 2000, per la Coppa America di vela, ospiti del Club Luna Rossa alla quale non ho partecipato ma che ho fortemente voluto, oppure quella in Giappone nel 1997, ad Osaka. In realtà ricordo sinceramente tutte le trasferte a cui ho partecipato sia da Presidente dell’APT, sia da Presidente del Gruppo, in particolare Versailles e tante altre in Italia e all’estero. È sicuramente un bellissimo biglietto da visita della città e auspico che lo possa diventare ancora di più, anche a livello regionale e, perché no, nazionale. Questa idea fu tra l’altro presentata anche all’allora presidente dell’ICE, Inghilesi, che la accolse con entusiasmo, perché vedeva in noi un importante strumento di promozione dell’immagine dell’Italia nel mondo.

Dopo la tua esperienza diretta, hai comunque continuato ad essere vicino al Gruppo, partecipando a tutte le iniziative che vengono svolte e frequentando l’Associazione anche solo come socio. Come hai trovato il clima, come vedi gli Sbandieratori oggi?

Sì, ho continuato e continuo volentieri e con immenso piacere a seguire la vita dell’Associazione perché mi sento di farne parte. E vedo un Gruppo in buona salute, capace di prestazioni di alto livello tecnico e coreografico, con la ricerca continua di migliorare le performances. Credo che occorra mantenere questo stile per affrontare delle sfide che oggi sono internazionali e sempre più impegnative con la concorrenza. Mi piace e vorrei che fosse ancora di più sperimentato e studiato il rapporto fra musica e bandiera. Gli spazi sono tanti però è chiaro che si passa da una concezione amatoriale ad una professionale e non è detto che sia facile. Inoltre bisognerebbe trovare un grande sponsor. Occorrerebbe cioè un progetto lungimirante in grado di attrarre risorse consistenti, un “progetto territoriale” che possa rappresentare, tramite i simbolismi del gioco di bandiere, le eccellenze della nostra terra in ogni campo. Questo Gruppo si collocherebbe naturalmente al livello dei migliori e più affascinanti spettacoli al mondo e fungerebbe da veicolo per messaggi universali, come la pace, la giustizia, la libertà legandoli ad una terra che ha prodotto e continua a produrre meraviglie, sia sul piano culturale, sia su quello scientifico.

Una cosa che mi sento di dire è che vedo, con piacere, da parte dei vari gruppi dirigenti che si sono succeduti negli anni, l’attenzione e la cura anche per gli aspetti organizzativi, amministrativi, regolamentari e contabili che una Associazione come la nostra deve avere e questo grazie, permettete questa sottolineatura, ad un lavoro che fu proprio iniziato quando ero al vertice della stessa e ciò, ripeto, lo considero estremamente positivo. Rilevo anche una grande attenzione dell’Associazione verso l’esterno, nei confronti anche degli ex sbandieratori, del corpo sociale nel suo insieme e ciò è molto importante, così come mi pare stia sfumando la vecchia contrapposizione fra Gruppo Attivo e resto del mondo. Occorre mantenere e consolidare la consapevolezza che il Gruppo è un patrimonio cittadino, della collettività e che tutti coloro che a vario titolo ne hanno fatto parte sono e rappresentano la storia dell’Associazione che deve legarsi al passato proiettandosi al futuro. D’altra parte la vita di una Associazione come la nostra è fatta di persone che vanno e vengono, di cicli, di esperienze e contributi, tutti importanti e necessari.

Fondamentale è superare le frizioni, i personalismi, non abbandonare la storia e far venir meno l’eredità che ognuno ha contribuito a creare. Un corpo vivo, che non abbandona niente della sua storia, che implica un’apertura massima a tutti coloro che sono stati nostri compagni d’avventura nel passato, che magari possono aver lasciato, per i più diversi motivi, a volte anche con amarezza. Ma l’amarezza si supera, si stempera. Siamo un patrimonio della città e lo sono tutti quelli che ci sono transitati. Sottolineo, in proposito, che si sono sempre fronteggiate due concezioni, una che intende appunto l’Associazione come un patrimonio di tutti e l’altra, più intima, che la identifica di più con il Gruppo attivo, in quanto alla fine sono gli sbandieratori stessi che la portano avanti. Il che, in un certo senso, è vero. È il Gruppo attivo che porta avanti l’Associazione, ma il Gruppo attivo deve accettare l’idea di essere come un organismo, un corpo vivo in continuo divenire, non certo come qualcosa di fisso e immutabile. E quindi occorre perseguire una forma di maturità, che consenta di trovare costantemente una mediazione tra queste due visioni. Perché se da un lato è vero che contro l’opinione del Gruppo attivo non si può fare niente, è altrettanto vero che, tagliando tutti i ponti il con il passato dell’Associazione, si va poco lontano. E l’equilibrio è rappresentato dal concepire appunto l’Associazione come un patrimonio della città. Come tale si acquisiscono vantaggi, ma anche responsabilità. Soprattutto quando siamo all’estero, rappresentiamo l’Italia e ciò conferisce onori, ma anche oneri, rappresentati principalmente dal saper raccogliere quei suggerimenti che arrivano dalla città e dal corpo sociale, con il fine ultimo di progredire e migliorare sempre.

Abbiamo accennato prima all’APT, alla successiva autonomia dell’Associazione, a come il Gruppo si è mosso negli anni, alla Federazione Internazionale degli Antichi Sport della Bandiera, di cui peraltro fummo fra i soci fondatori. Che futuro vedi per gli sbandieratori?

Vedo certamente ancora con favore una maggiore valorizzazione della propria specificità, della propria capacità di muoversi nel mondo. Come tutti sanno il Gruppo era nato proprio come un ufficio, un settore dell’EPT, negli anni 60, poi se ne era distaccato assumendo una propria vita autonoma ed indipendente, rimanendovi legato per le funzioni organizzative e amministrative. In seguito per scelte e decisioni indipendenti dalla volontà dell’Associazione questo Ente ha dovuto ridimensionare il proprio ruolo e gli Sbandieratori hanno dovuto imparare, e anche bene a mio avviso, a muoversi con sempre maggiore autonomia: è questa la scommessa che oggi deve vincere. L’Associazione nei confronti con gruppi similari si era un po’ tirata fuori. La gara tra gruppi che hanno bandiere diverse e storie diverse è obiettivamente impropria. Il Gruppo ha vissuto in questa sua peculiarità, evitando per quanto possibile di partecipare a confronti falsati, ma se il gioco di Bandiera avrà un maggiore riconoscimento l’Associazione probabilmente si dovrà adeguare o, quantomeno, cercare di governare questo processo richiedendo standard uniformi. Occorre quindi lavorare molto sia a livello tecnico che a livello relazionale ed istituzionale, in modo tale che se giochi di bandiera devono essere, siano giochi di bandiera seri e non giochi di bandiera “barzelletta”.

Quando sono state studiate le bandiere, ci si è rifatti a un modello storicizzato e se tornasse a passare questo messaggio il Gruppo sarebbe chiamato ad essere un alfiere di questa nuova situazione. Tale prospettiva affermerebbe i giochi di bandiera su scala globale, si potrebbe considerare naturalmente il Gruppo come uno dei migliori al mondo. Ovviamente tutto questo è un lavoro che va fatto su più fronti, ma l’Associazione deve porre questo problema e provare a guidarlo, evitando così il rischio di essere trascinata. Se l’Associazione riesce a far capire che questo può essere un biglietto da visita, non solo a livello locale, ma anche nazionale diventa un valore aggiunto per tutto il paese e per gli stessi altri gruppi.

Ci vorrebbe un aggancio a livello nazionale e a tal proposito vengono in mente, per esempio, la Pattuglia Acrobatica Nazionale, le Frecce Tricolori, oppure altre eccellenze italiane con le quali potremmo ideare un qualche evento insieme e occasioni come queste potrebbero permettere il grande salto di qualità. Quali scenari sono ipotizzabili secondo te?

Oggi occorre fare il salto di qualità, occorre salire e raggiungere una dimensione nazionale, rappresentando sì Arezzo, la Toscana ma anche l’Italia e dicevo prima, aspirare a diventare un brand internazionale. I nuovi gruppi dirigenti dovranno essere capaci di guidare questo processo, con le scelte oculate, con le persone giuste, con i rapporti ed i canali adatti a perseguire questi obbiettivi, una sorta di Sbandieratori 4.0, perché sessanta anni di storia di grande qualità possono permettere di sognare in grande. È questo il mio augurio e il mio auspicio che faccio con il cuore a tutti gli sbandieratori. Quello che viene fatto adesso è miracoloso, sessant’anni di attività a livelli di eccellenza. Ora però per guardare al futuro occorre un ulteriore salto di qualità, pianificando attentamente le attività da compiere nei prossimi dieci anni. Dobbiamo diventare non più il migliore tra i gruppi, ma un qualcosa di unico che altrove non si trova. Ieri ero ad Assisi ed era pieno di gente per vedere San Francesco e, più in generale, un qualcosa che è profondamente radicato in un tempo storico preciso. L’Italia ha chance enormi.

Io non credo però che si possa vivere solo di turismo e la Grecia ce lo dovrebbe insegnare. Penso al turismo come ad un settore strettamente connesso alla cultura e conseguentemente alle attività della ricerca e della innovazione in ogni settore produttivo. In realtà è tutto il paese che dovrebbe ripensare il proprio sistema, in modo da proporre all’estero i propri prodotti e non solo l’idea dell’Italia e delle sue bellezze geografiche e artistiche. Insomma, non si può vendere solo il turismo. D’altro canto ci invidiano in tutto il mondo un primato culturale, la capacità di essere all’avanguardia nell’innovazione, la qualità della vita e da qui bisogna ripartire. Nel suo piccolo la nostra Associazione può rappresentare una delle eccellenze del paese, ma su questo, come detto, occorre lavorare.

da “L’Alfiere” – n. IV – 2017, pag. 6-9