Per gli Sbandieratori di Arezzo, Claudio non è stato soltanto il figlio dell’indimenticato Professor Dini. Da bravo “figlio d’arte”, come il compianto fratello Sergio, ha saputo cogliere lo spirito e i valori del Gruppo eccellendo, negli anni di attività, sia da un punto di vista tecnico che umano e continuando, ancora oggi, a rappresentare l’Associazione nel migliore dei modi.

Come è avvenuto il tuo ingresso nel Gruppo da “figlio d’arte” e cosa ti ha spinto a seguire tuo padre in questa avventura?

Era inevitabile, anche se nessuno ha dovuto convincermi. Già prima della fondazione del Gruppo, nonostante fossi molto piccolo, seguivo mio padre e partecipavo spesso agli incontri tra lui ed il dottor Droandi volti a definire le modalità costitutive di questa meravigliosa creatura. Poi, con l’inizio dell’attività e degli allenamenti iniziai a frequentare assiduamente la palestra. Praticamente ero sempre lì e cominciai a conoscere tutti i ragazzi, che mi sembravano dei veri super eroi. Mi piaceva tutto e non vedevo l’ora di farne parte. Così, nel 1964 il mio ingresso nel gruppo attivo divenne un passaggio quasi “obbligato”.

Quali, tra i tanti ricordi, sono quelli che ti sono rimasti più impressi di quegli anni?

Qui fortunatamente, è veramente difficile scegliere. Tutte le giornate che ho vissuto tra le bandiere sarebbero da ricordare, da quelle passate in sede a preparare le aste per i giochi a quelle al campo scuola ad allenarmi anche da solo al lancio in alto o in lungo. Ma, a parte tutte le giostre ed i singoli fatti in piazza, che sono indimenticabili, mi piace citare le partecipazioni ai “Giochi della Bandiera” di Arezzo, Faenza, Bologna e Carovigno, le tante vittorie con la piccola e grande squadra, i giochi atletici e i duelli nel singolo tradizionale con il faentino Patuelli. Queste sono state e saranno emozioni irripetibili.

Indimenticabile anche la cerimonia di inaugurazione dei “Giochi Olimpici Mexico ‘68”, così come la mia partecipazione “solitaria”, in rappresentanza del Gruppo, al mese italiano in Brasile. In quella occasione ero in compagnia degli sbandieratori di Gubbio e di quelli del Calcio Storico Fiorentino. Mancando loro un singolista chiamarono me, in quanto campione Italiano in carica. Aprivamo le serate italiane ad invito nei più grandi alberghi di Rio, San Paolo, Belo Horizonte e Salvador de Bahia; dopo di noi ricordo meravigliose sfilate di moda, una magnifica cena di un famoso ristorante fiorentino e infine Sergio Endrigo che deliziava il pubblico con le sue canzoni. Un’esperienza gradevolissima che si concluse al Maracanà, il famoso stadio di Rio de Janeiro, dove nell’intervallo di Flamengo-Botafogo dovetti fare un singolo davanti a centomila spettatori che, viste le distanze, in pochi avranno seguito.

Infine mi piace ricordare la partecipazione a Giochi senza Frontiere nel 1970, in un gioco di lancio di bandiere nell’Arena di Verona, con vittoria nella finale Europea.

Hai citato i “Giochi della Bandiera”. Cosa davano in termini di motivazione esperienze di questo tipo?

I Giochi della Bandiera, come tutte le competizioni, crearono nel gruppo un’unione ed un senso di appartenenza ancora maggiori di quelli che già c’erano. Il desiderio di tutti di essere i migliori aumentava l’impegno e la voglia di cimentarsi in cose nuove, di sperimentare movimenti particolarmente difficili, cercando di superare sé stessi senza mai accontentarsi del livello raggiunto.

In tutti cresceva il senso di responsabilità dato dall’essere parte di un gruppo che doveva raggiungere un livello di rendimento sempre più alto e questo chiaramente portava a risultati eccezionali, oltre che nei Giochi, anche in tutte le manifestazioni alle quali partecipavamo.

Cosa ha significato e significa, dal tuo punto di vista, essere uno Sbandieratore di Arezzo?

Quando iniziai a frequentare quella che fortunatamente è ancora la mia compagna, una delle prime cose che le dissi era che facevo parte del Gruppo Sbandieratori, che spesso i fine settimana ero in trasferta, che poteva capitare che stessi fuori anche per molti giorni, ma quella era la mia vita e non potevo privarmene. Essere sbandieratore significava vivere da sbandieratore. Oggi è una grande gratificazione fare ancora parte di questa creatura che ho visto nascere e crescere, mantenendo inalterato il proprio fascino.

Aldilà dei fatti contingenti, come vedi il Gruppo e l’Associazione oggi rispetto al passato? Qualche suggerimento per l’attuale Consiglio?

Non voglio fare confronti, l’attuale gruppo ha onorato e mantenuto, e in alcuni casi anche migliorato, tutto quello che è stato fatto da coloro che li hanno preceduti, considerando anche il fatto che oggi con la grande proliferazione di nuovi gruppi, emergere è sempre più difficile, ma come direbbe Totò noi siamo nati “emersi”.

Vorrei solo dare il suggerimento di puntare sui giovani e sui giovanissimi, di “svecchiare”, affidando ai decani incarichi diversi. L’ideale sarebbe riuscire a tenere tutti all’interno dell’Associazione, ma dando spazio ai più giovani.

Infine, consentimi una considerazione che spero sia costruttiva. Noto un’abitudine diversa nel fare gli allenamenti. Ricordo, con riferimento agli anni passati, una disciplina, un ordine, un’attenzione ai particolari e un rispetto degli orari direi ferrei. Tutti valori che sinceramente cercherei di preservare e, se necessario, di ripristinare.

da “L’Alfiere” – n. IV – 2020, pagg. 4-5