Ho conosciuto il giornalista Giuliano Terenzi per il podcast sportivo “Sportcast” che conduce su Radio Bullets e ho maturato l’idea di questo articolo una volta scoperto che una tra le più belle storie raccontate nel suo programma riguardava un aretino. Quando, in seguito, ho avuto l’opportunità di prendere contatti con il giornalista è nata questa collaborazione, nella quale ho avuto cura di fare miei alcuni passaggi del podcast per portare la storia del pugile tra le colonne dell’Alfiere.
Mario D’agata comincia a boxare appena maggiorenne e dopo sei anni di attività, ha già combattuto più di cento incontri. Nel 1950 decide di passare al professionismo chiedendo la licenza alla Federazione Pugilistica Italiana. Neanche il tempo di sognare che arriva il primo intoppo per il pugile di Arezzo: mai prima d’allora un “sordo” (si parla nello specifico di “sordità prelinguale”, in altri termini sordomutismo) aveva avanzato una richiesta di questo tipo, oltretutto, viene accertato che D’Agata non riesce a percepire bene il suono del gong di inizio e fine ripresa, motivo per cui la federazione, in prima istanza, boccia la sua richiesta. Ma la storia non finisce qui. Con l’insistenza e la caparbietà che lo hanno sempre contraddistinto, con la campagna mediatica a suo favore e con l’intervento di un altro aretino, al tempo Deputato della Repubblica, Amintore Fanfani, il pugile riesce ad ottenere la licenza che gli permette, ventiquattrenne, di esordire tra i professionisti, vincendo contro G. Salardi. Dopo tre anni, il 26 settembre 1953, D’Agata diviene il campione italiano dei pesi gallo, vincendo contro l’oro olimpico di Londra G. Zuddas sul ring del Politeama di Arezzo.
In seguito, il 15 gennaio del ‘55 viene deciso che il messicano R. Macias e l’italiano D’Agata saranno i prossimi sfidanti per il titolo mondiale dei pesi gallo. L’incontro viene organizzato per il 9 marzo dello stesso anno a San Francisco. Pochi giorni dopo l’ufficialità dell’incontro D’Agata finisce sulle prime pagine dei giornali ma non per questioni sportive. L’Unità del 12 febbraio riassume così: “Il campione dei gallo Mario D’Agata gravemente ferito da una fucilata al petto. Il drammatico litigio fra lo sfidante per il titolo mondiale e un socio in affari. Anche la madre del pugile è rimasta ferita. Il boxeur abbandonerà la carriera?”. Quel giorno insieme ai genitori e alla sorella, D’Agata è alla lavanderia “La Moderna” per parlare con il suo socio in affari Giovanni Petitto. Come spesso accade quando ci sono di mezzo i soldi, la discussione si fa tesa tanto che Petitto, estratta una pistola, inizia a sparare, fortunatamente senza colpire nessuno. D’Agata interviene prontamente e riesce a disarmarlo ma Petitto riesce a scappare e nel retrobottega per prendere un fucile da caccia con cui spara due colpi verso D’Agata, colpendolo in pieno petto. Viene portato immediatamente all’ospedale e il secondo bollettino riporta: “il polmone sinistro risulta impallinato e con tutta probabilità il pugile dovrà abbandonare la carriera sportiva”. I medici indicano in 20 giorni la guarigione clinica e in 3 mesi il raggiungimento di un buono stato di salute. Col passare dei giorni le possibilità di rivederlo combattere crescono ma nessuno, può immaginare di vedere D’Agata di nuovo sul ring dopo appena tre mesi. Lo sfidante di turno è A. Emboulè. Vittoria per KO Tecnico all’ottavo round: D’Agata è tornato.
Una nuova occasione si presenta di fronte al pugile aretino, la possibilità di conquistare il titolo europeo. Lo sfidante è il francese Valignat e l’incontro si disputa al Palazzo dello Sport di Milano. Nel quarto round D’Agata incalza continuamente l’avversario che non sa più come difendersi e pur di non capitolare ricorre ad una grave scorrettezza: una testata sul viso di D’Agata che costringe l’arbitro al primo richiamo ufficiale. Il quinto round dura appena 2 minuti e 22 secondi: Valignant è subito alle corde, immediatamente investito da una gragnola di colpi, e, di nuovo, si difende con la testa: secondo richiamo ufficiale a cui segue il terzo pochi istanti dopo. Come da regolamento l’incontro finisce per squalifica e Mario D’Agata, già campione italiano, conquista il titolo di campione europeo dei pesi gallo.
Arriviamo al 29 giugno del 56, Stadio Olimpico di Roma, 38.000 spettatori e, sul ring, il titolo mondiale da contendere a Robert Cohen, con il quale D’Agata ha già boxato, e perso, qualche anno prima. Piccola nota statistica: considerate che fino ad allora, nella storia della boxe solo quattro italiani si sono battuti per un titolo mondiale: Oddone Piazza, Tiberio Mitri, Domenico Bernasconi e Primo Carnera, l’unico ad averlo vinto. Al settimo round Cohen alzò le mani. Dopo 23 anni esatti dall’impresa di Primo Carnera, D’Agata conquista il titolo mondiale dei Pesi Gallo. Ovviamente, neanche ci sarebbe bisogno di precisarlo, è il primo “sordo” a cui riesce l’impresa (nonché il primo aretino).
Nove mesi dopo la vittoria di Roma D’Agata deve mettere in palio il titolo mondiale e viene organizzato l’incontro fra l’italiano e A. Halimi. Alla fine del terzo round, probabilmente a causa di un corto circuito o di un surriscaldamento, dopo una serie di scintille, dal lampadario centrale cade un tizzone incandescente sulla spalla di Mario D’Agata; nulla di grave. L’incontro viene sospeso per 18 minuti e quando riprende D’Agata è piuttosto scosso, anche perché il buio non è il massimo per un sordo. Alla fine della quindicesima ripresa il verdetto è ampiamente a favore del giovane Halimi. D’Agata si consola qualche mese dopo, riconquistando a Cagliari il titolo europeo che lui stesso aveva lasciato vacante per giocarsi il mondiale e dopo essere stato campione mondiale e due volte campione europeo dei pesi gallo il pugile comunica il suo ritiro all’età 36 anni.
Il nome di Mario D’Agata ha risuonato spesso nelle cronache sportive, un esempio ne è il libro «Il canto del gallo» scritto da Alberto Chiodini ma ha anche risuonato nella città di Arezzo con il Palasport ESTRA che è a lui dedicato. Nello scrivere l’articolo ho piacevolmente scoperto come il cognome D’Agata abbia anche risuonato tra le bandiere degli sbandieratori. Sul sito del Quartiere di Porta Sant’Andrea, tra i vari articoli, viene ricordata la creazione dell’attuale sede biancoverde all’interno del passaggio pedonale di Porta Trento Trieste. Le mura della sede del quartiere furono decorate con greche bianche e verdi dipinte dal Consigliere Galliano Gialli e dal fratello del pugile Mario d’Agata. Il fratello del pugile, infatti, non solo era un attivo quartierista ma anche un bravissimo sbandieratore del Quartiere, quando ancora l’Associazione Sbandieratori di Arezzo non aveva preso forma e le bandiere portavano l’insegna dei singoli quartieri.
da “L’Alfiere” – n. IV – 2021, pagg. 10-11
Lorenzo Diozzi