Nell’ultimo periodo l’Inno di Mameli è stato suonato in molteplici ed inaspettate occasioni, prima tra le case italiane nel periodo del lockdown nazionale e poi per i numerosi successi azzurri nello sport nel 2021. Infatti, in occasione della vittoria degli Europei 2020 della Nazionale Italiana di calcio, Fratelli d’Italia è stato cantato in innumerevoli piazze e, dopo poche settimane, le stesse note sono state anche protagoniste delle Olimpiadi di Tokyo, nelle quali gli atleti italiani hanno composto i miglior medagliere nella storia della partecipazione italiana alla manifestazione.

In molteplici occasioni anche le trombe e i tamburi della nostra Associazione hanno eseguito con grande orgoglio l’Inno di Mameli, specialmente per esibizioni in paesi stranieri o eseguite di fronte ad importanti autorità. In tali appuntamenti l’emozione di sbandierare con il ritmo dell’Inno Nazionale non è inferiore rispetto all’emozione per le musiche della tradizione di Arezzo e del Gruppo Sbandieratori.

Il Canto degli Italiani è stato scritto nel 1847 da Goffredo Mameli all’età di 20 anni e musicato da Michele Novaro, entrando immediatamente tra i Canti della stagione risorgimentale e divenendo poi l’Inno Nazionale della Repubblica Italiana nel 1946.

Lo spirito patriottico e lo slancio musicale non caratterizzano solo l’Inno ma anche le circostanze nel quale è stato scritto e musicato, tra impeto poetico e fuoco di lucerne. Conosciamo la storia, accaduta a Torino nell’attuale incrocio tra via Barbaroux e via XX Settembre, grazie ad Anton Giulio Barrili, amico e biografo di Mameli.

“Colà, in una sera di mezzo settembre, in casa di Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di buon nome, si faceva musica e politica insieme. Infatti, per mandarle d’accordo, si leggevano al pianoforte parecchi inni sbocciati appunto in quell’anno per ogni terra d’Italia, da quello del Meucci, di Roma, musicato dal Magazzari […]. In quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino, l’egregio pittore che tutti i miei genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: – To’ gli disse; te lo manda Goffredo. – Il Novaro apre il foglietto, legge, si commuove. Gli chiedono tutti cos’è; gli fan ressa d’attorno. – Una cosa stupenda! – esclama il maestro; e legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio. – Io sentii – mi diceva il Maestro nell’aprile del ’75, avendogli io chiesto notizie dell’Inno, per una commemorazione che dovevo tenere del Mameli – io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo. Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all’inno, mettendo giù frasi melodiche, l’un sull’altra, ma lungi le mille miglia dall’idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi trattenni ancora un po’ in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c’era rimedio, presi congedo e corsi a casa. Là, senza neppure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d’un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul povero foglio; fu questo l’originale dell’inno Fratelli d’Italia.”

da “L’Alfiere” – n. III – 2021, pag. 16

Lorenzo Diozzi