L’ultima sera tutta la delegazione italiana fu invitata al ricevimento organizzato dal Consolato Italiano, al quale giungemmo dopo aver avuto l’onore di incontrare il Principe Mikasa, secondogenito dell’Imperatore giapponese. L’Ambasciata era all’interno di un giardino con ruscello e piante rigogliose; prima di entrare nel parco fu fatta la raccomandazione di camminare al centro dei vialetti perché potevamo incontrare serpenti velenosi: non male sapendo che la serata prevedeva anche una nostra esibizione nel prato antistante. Ma è andata bene, nessuno spiacevole incontro. La cena fu allestita in uno splendido salone e le pietanze furono servite in straordinarie scatole laccate e decorate con disegni della tradizione. Prima della nostra esibizione abbiamo assistito alla danza rituale di una geisha il cui costume ed il trucco, nella luce tenue, la facevamo apparire evanescente nelle movenze assecondate dal ritmo dello shamisen. Poi la nostra musica, i colori delle bandiere, esaltati dai faretti del parco, hanno scosso l’attenzione e l’entusiasmo degli invitati che hanno accompagnato con gli applausi l’esibizione.

Purtroppo la trasferta volgeva al termine ma ancora una straordinaria esperienza ci attendeva: la visita al Fujiyama, ospiti in un meraviglioso hotel con fonte termale interna. Nelle vicinanze un enorme statua del Budda seduto nella classica postura chiamata “Dhyana mudra”, ammoniva a perseguire con fermezza la retta via nei suoi valori morali. All’interno dell’hotel si circolava indossando il kimono per cui, assegnate le camere, fummo presi a balia dalle cameriere, anch’esse in kimono che, nella sorpresa comune, ci aiutarono ad indossare correttamente l’indumento tradizionale. Nessuno ebbe il coraggio di fare apprezzamenti o battute ironiche, tanta era stata la sorpresa e la naturale determinazione delle ragazze nello svolgere il compito che comunque faceva parte del servizio. Presa dimestichezza con l’abito e con i tipici sandali giapponesi, ci avventurammo alla scoperta della piscina termale, dove scoprimmo di poter accedere solo se completamente nudi. Posso assicurare che non fu semplice all’inizio superare il disagio e la diffidenza, poi, anche per dimostrare un’emancipazione palesemente farlocca, entrammo in questo ambiente dove trovammo naturalmente altri ospiti tranquillamente seduti che conversavano a bassa voce per non disturbare e favorire il relax. Ancora qualche istante di disagio poi la tipica esuberanza e goliardia prese il sopravvento, nessuno protestò e forse gli altri anziani ospiti sopportarono divertiti questa straordinaria invasione, lasciandoci campo libero. Stremati dal lungo bagno caldo, giungemmo infine a cena, sempre avvolti nei kimono, servita su tavoli intorno ai quali si stava seduti in terra sulle stuoie, incrociando le gambe o in ginocchio.

La curiosità crebbe quando la geisha, acceso un fornello al centro del tavolo, mise a bollire una sorta di ampolla piena d’acqua, versando al suo interno una strana varietà di alimenti, amalgamandoli sapientemente con le bacchette. Mentre gestiva la preparazione della cena la ragazza stava inginocchiata in mezzo a noi, che seguivamo il “rito” fra l’incredulità e lo scetticismo di riuscire a mangiare una tale misticanza. Per sdrammatizzare l’attesa a qualcuno venne l’idea di provare a vedere se la geisha soffriva il solletico sotto i piedi che, essendo lei in ginocchio e protesa verso il tavolo, rimanevano scoperti. La reazione fu istantanea, non so se per la sorpresa che qualcuno avesse avuto quell’ardire, per il solletico o entrambe le cose, solo che in un istante si era allontanata e con le mani si copriva la bocca nell’atto di ridere, guardandosi intorno per sincerarsi che nessuno avesse visto e poter poi ritornare a seguire la cottura delle pietanze. Nonostante le nostre rassicurazioni lo scherzo si ripeté ancora per qualche volta tanto era paradossale e comica la situazione per la reazione di incredulità che si leggeva nei suoi occhi. Poi finalmente riuscì a servire quelle indefinite pietanze che mangiammo aiutandoci con qualche sorso di sakè.

La mattina seguente, purtroppo, abbiamo dovuto indossare nuovamente l’abito occidentale, raggiungere l’aeroporto e ripartire per l’Italia, preoccupati sul come fare a passare la dogana, visto che la maggior parte di noi aveva, come previsto, acquistato qualche oggetto tecnologico.

Varie erano le strategie: chi decideva di tenere la macchina fotografica al collo con disinvoltura, chi l’aveva avvolta negli indumenti del bagaglio a mano, chi aveva tre orologi al polso e così via. Arrivati finalmente a Roma, dopo un viaggio a dir poco movimentato, visto il violento temporale che ci aveva sballottato sopra i cieli indiani, ci apprestavamo ad affrontare la dogana. La strategia più originale era comunque quella adottata da Luciano Gelli che aveva acquistato una radio stereo dalle dimensioni di una valigia: l’aveva avvolta alla meno peggio con dei fogli di giornale, naturalmente giapponese, tenendola quasi casualmente per il grosso manico. La sorte ci è stata infine benevola perché in nostro aiuto sono arrivati i funzionari Alitalia che ci hanno scortato, spiegando chi fossimo, oltre i posti di controllo.

Quanti altri particolari e aneddoti ci sarebbero da raccontare ma questi sono il patrimonio che ciascuno dei partecipanti a queste, come ad altre trasferte, porterà sempre con sé.

da “L’Alfiere” – n. II – 2022, pagg. 8-9

Carlo Lobina