Entriamo nella bottega di Francesco Conti e ci sembra di essere piombati in un altro tempo, dove man mano che osserviamo, dietro un apparente disordine, scopriamo un intarsio del Seicento, poi una cornice barocca, un vecchio lavoro da terminare. Il caos di una bottega artigiana nella vecchia Colcitrone acquista pian piano un senso, una logica, un significato e ci accorgiamo che in qualsiasi punto appoggiamo lo sguardo c’è una storia, un lavoro fatto da mani esperte, un vissuto che Francesco non esita a raccontarci. Là dove la polvere si posa leggera tra vecchi e nuovi intarsi, dove l’artigiano riporta in vita e crea…

Una tua presentazione e cenni sulla tua formazione:

Sono nato nel 1948 e provengo dall’Olmo, ma posso definirmi un uomo di città: tutta la mia vita comunque dentro le cinte murarie; 11 anni a Firenze e poi sempre nel centro storico di Arezzo. Ho frequentato le scuole professionali, interessato alla cultura della manualità e del lavoro: prima l’Istituto poi tre anni al Margaritone in oreficeria. Ho proseguito poi con intaglio e scultura lignea. Finita la scuola entrai in contatto con un aretino che lavorava in centro storico a Firenze e mi chiese se poteva interessarmi fare una prova in una ditta, visto che ero specializzato nella scultura lignea. Accettai e con timidezza entrai a bottega. Fui messo al banco e mi venne affidata una prima prova: arrotare le sgorbie, attrezzi da intaglio. Dopo di che venni testato in una cosa più complessa, la rifinitura di una scultura, di un putto, se ben ricordo. Il mio lavoro vero e proprio cominciò con il restauro di parti lignee provenienti dall’Abbazia di Montecassino. Con la ricostruzione del dopoguerra, venivano portati a Firenze nelle botteghe specializzate, i frammenti delle parti lignee. L’abilità consisteva proprio nel rimetterle insieme e in più di realizzare ex novo quell’80% che mancava e che era andato distrutto. Si trattò di una grandissima possibilità: è stata una base esperienziale straordinaria. In più la bottega stessa era eccezionale: Bartolozzi e Maioli in Firenze… una realtà che aveva pochi eguali proprio per la sua collocazione in una città che significava Rinascimento e non solo, una delle vette artistiche mondiali. Il mio datore di lavoro, da artista qual era, mi spinse a frequentare i corsi di disegno all’Accademia: nudo e studio dell’anatomia… una base che mi è servita moltissimo. Partivamo con la realizzazione di modelli in creta, poi in gesso e infine scolpivamo il legno. A bottega sono stato undici anni: ho avuto modo di conoscere persone utili e competenti, di esercitarmi con tante pratiche di restauro di opere che non si trovavano altrove. In seguito sono tornato ad Arezzo, aprendo la mia prima bottega in Via Mazzini 32. Nel 1979 l’allora primo magistrato Mario Cantucci mi avvicinò, sapendo il mio mestiere, chiedendomi se fossi interessato a realizzare la Lancia d’oro della Giostra del Saracino. Io ovviamente conoscevo la giostra ma non mi rendevo veramente conto di cosa fosse quel trofeo che poi andrò a scolpire per una vita. Dopo pochi giorni Cantucci mi portò alla sede di Porta Crucifera per farmi vedere le lance vinte ed esposte. Le vecchie lance venivano realizzate da falegnamerie dove si faceva un po’ di intaglio ma io non mi sono confrontato con i precedenti costruttori e ho lavorato sempre in autonomia. Si trattava di lance ad uno stato molto semplice, che potremmo definire embrionale rispetto alla complessità delle realizzazioni posteriori. Mi pareva e mi pare tuttora sorprendente che una manifestazione che già all’epoca, siamo alla fine degli anni Settanta, aveva fama e risonanza, avesse come premio della vittoria dei manufatti così semplici. Le vecchie lance sono tutte molto simili l’una all’altra e soprattutto non hanno dediche o motivazioni. Da notare che, nonostante il nome “lancia d’oro”, quasi mai erano rivestite in oro e certamente non in oro zecchino, ma in foglia di oro falso e porporina. In questo senso sono stato io ad introdurre la prima vera lancia d’oro, realizzata appunto con la tecnica dell’applicazione dell’oro zecchino in foglia. La questione della doratura riguarda buona parte dei materiali lignei che compongono le dotazioni dei figuranti, come gli scettri del maestro di campo e dei fanti del Comune che ho dorato io.

La mia prima lancia, che fu vinta da Santo Spirito, non aveva un tema specifico e quando la consegnai ci fu sorpresa perché una forma e una colorazione così non si era mai vista in precedenza. Dall’anno successivo mi misi a pensare ad un tema, ad una dedica. Dovete immaginare che io non avevo nessun consulente e che di conseguenza facevo tutto da solo, sia per l’aspetto dell’ideazione che della costruzione. Pensai ai personaggi storici che erano legati ad Arezzo, che ci erano nati: Petrarca, Guido Monaco, Vasari e Michelangelo. Pensai a delle mura che rappresentassero il nostro passato di città medievale e ancor prima etrusca e di realizzare questi personaggi “attorcigliati” allo sviluppo della lancia. È da questo momento che per 10-15 anni io ho dato in autonomia il tema alla lancia d’oro.

Quindi di fatto l’Ente Giostra non ti imponeva un tema ma eri tu a pensarlo ed elaborarlo in autonomia…

Io ricevevo la commissione della Lancia normalmente un mese prima e facevo tutto da solo dall’idea fino alla realizzazione completa. A questo proposito vorrei ricordarvi un aneddoto: nel 1982 si svolse una doppia edizione della Giostra e quindi mi vennero commissionate due Lance. Io presentai al Comune il bozzetto per la prima che pensai di dedicare a San Francesco. Giovanni Mastini, segretario del sindaco Ducci, accolse bene l’idea ma mi chiese che sarebbe stato bello dedicare l’altra Lancia ad una figura laica. Io mi misi a pensare e tornai da lui con la proposta di una Lancia per Garibaldi, dato che ricorreva il centenario della morte. Ovviamente ad un laico e ad un socialista la proposta dal sapore patriottico simboleggiata da Garibaldi piacque molto!

In definitiva il concetto stesso di dedica non era un’esigenza della manifestazione per la quale veniva proposto un trofeo. Fu soltanto il mio interesse artistico ad inserire personaggi scolpiti sul legno che determinarono questa che poi è diventata una tradizione della dedica. Dopo almeno 10 anni la Giostra si è dotata della presenza e della consulenza di uno storico come Luca Berti e da quel momento ho cominciato a ricevere dei temi e delle dediche prestabilite. Dopo aver fatto una quarantina di Lance d’oro, circa 20 anni di lavoro, nel 1998 è stato deciso di affidare il bozzetto centrale della Lancia attraverso concorso. Io assieme al dottor Berti e ai rappresentanti dei quartieri facevamo parte della commissione giudicante. Dal disegno vincitore io poi realizzavo la Lancia nella sua interezza. Va specificato che il bozzetto riguarda soltanto il corpo centrale ma il resto della Lancia ha ugualmente bisogno di elementi decorativi. Quindi l’asta è comunque sempre stata conseguenza della mia creatività, in coerenza con il tema e lo spirito del corpo centrale. Tutto questo è ciò che abbiamo è che continua anche oggi.

Una Lancia che reputo molto bella e alla quale sono molto affezionato è quella dedicata ai Maestri di Campo e che venne decisa dopo la morte di Centini nel 1987. Si tratta della Lancia che mi ha dato maggior suggestione perché Centini morì 15-20 giorni prima della giostra e io avevo già stabilito un altro soggetto. Il primo magistrato Spadini mi chiese a quel punto di realizzare una Lancia in onore del Maestro di Campo appena scomparso. A quel punto pensai di associarci le figure dei precedenti maestri di campo e devo dire che l’aspetto scenografico di questa lancia me la rende particolarmente cara e unica. Questa lancia la vinse Sant’Andrea, come quella del 1991 dedicata a Giovanni di messer Egidio da Celaia, che giudico particolarmente difficile e, credo, bella. La dedica riguardava il processo tenutosi ad Arezzo nel 1391 contro appunto Giovanni da Celaia, accusato di cospirazione anti fiorentina. In questo caso ho rappresentato nel corpo centrale La Cacciata dei diavoli da Arezzo, una delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di San Francesco, realizzata da Giotto ad Assisi. In questo caso la città di Arezzo con le sue torri è scolpita nel corpo centrale mentre il volo dei diavoli occupa lo sviluppo nella parte superiore della Lancia.

Una lancia molto celebrata è stata la 100ª, perché doveva recuperare proprio la memoria di tutte quelle precedenti. Si trattava di una delle tante lance d’oro dedicate a San Donato e per il fatto che rappresentava la numero 100 decisi di creare nello sviluppo della Lancia 98 piccole lance intramezzate dalle bandiere del quartiere vincitore, la presenza di un drappo che simboleggiava la prima giostra del 1931 (nella quale non fu consegnato come trofeo una lancia ma appunto un drappo). A coloro che mi chiedevano come mai fossero 98 piccole lance più il drappo per un totale di 99 io aggiungevo che la 100ª era fisicamente la Lancia stessa che stavano osservando! Ovviamente ci sono Lance fatte da bozzetto che ha partecipato al concorso di selezione che sono particolarmente belle e di valore.

Comunque, indipendentemente dalla realizzazione del bozzetto, la costruzione materiale delle Lance d’oro è tua fin dal 1979…

Sì, è sempre stato così fino all’anno scorso, quando per la Lancia che è stata portata al pontefice, per l’edizione straordinaria della Giostra dedicata al Giubileo della Misericordia, abbiamo collaborato io e l’artista Ivan Theimer. Il concorso da quest’anno è stato sospeso e la lancia viene commissionata ad artisti famosi e nel caso di quella affidata a Ugo Riva io mi sono limitato alla realizzazione dell’asta. Adesso sto realizzando la Lancia per il Museo della Giostra che comprenderà vari simboli ed immagini legate al significato del Saracino: il buratto, i quartieri, i musici, gli sbandieratori i fanti del Comune…tutti gli elementi che caratterizzano questa manifestazione…oltre alla illustrazione storica realizzata da Novarese. Sto cercando di fare uno sviluppo della Lancia che dalla parte bassa, salendo, si ispira ad epoche differenti in termini decorativi: dal trecento, al seicento fino alla parte sommitale astratta, contemporanea.

Quando ti è stato proposto di cominciare a realizzare le Lance tu non eri un quartierista o comunque una persona particolarmente legata alla Giostra…

No, avevo imparato a conoscerla negli anni precedenti il mio incarico, ma non posso definirmi un “ammalato” di Giostra o comunque un quartierista. Posso dire che il Saracino ho cominciato a conoscerlo approfonditamente nel tempo, proprio occupandomi della realizzazione delle Lance d’oro. Sono entrato progressivamente dentro il linguaggio del Saracino e quel paio di mesi dall’incarico fino alla realizzazione finale mi vedono in “estasi” come San Francesco! Nonostante il mio atteggiamento piuttosto neutrale, reputo la Giostra una manifestazione straordinaria, in grado di muovere gli animi e le passioni di tanti aretini…capisco il bisogno turistico di una città, ma il Saracino dev’essere soprattutto una cosa nostra, per gli aretini.

Tecnicamente, come ci si approccia al tuo mestiere? Come procedi nella realizzazione?
Innanzitutto il materiale: utilizzo poco il noce, che tende a tarlare; si usa il pino cembro e prevalentemente il tiglio, ricordato anche nelle “Vitae” del Vasari come il legno per eccellenza delle sculture lignee del trecento, che tiene il colore e la doratura. Un legno che si lavora discretamente, che è compatto e tarla poco. Per tenere l’oro c’è bisogno di un legno morbido: il noce è troppo duro e la doratura salta. C’è una Lancia, vinta da Porta crucifera nel 2005, tutta in noce, dedicata al letterato Federigo Nomi, dove infatti la doratura è minima. Si parte da una sgrossatura iniziale e via via si affina la lavorazione. L’abilità necessaria nella scultura lignea è il sapersi fermare al momento giusto, riuscendo ad intuire il rispetto dei volumi. Anche l’asta è una vera e propria scultura perché non la fisso mai nella morsa ma la giro a tutto tondo sopra un banco. Vedrete delle lance che sono completamente “avvolte” e nel lavorarle le maneggio senza fissarle…è un rapporto molto fisico, va sentito, si deve essere tutt’uno con l’opera. Sono sempre partito da un’idea, che a volte cambia in parte durante il percorso di lavorazione. Dall’idea alla realizzazione un mese mi è necessario. Oggi poi con la creazione di bozzetti per il corpo centrale elaborati da altri, devo essere in grado di armonizzarlo adeguatamente con il resto. Un’asta che reputo straordinaria è quella della Lancia del 2015 dedicata alla liberazione del campo di Auschwitz: un abbraccio e un vortice di colori che seguono una sorta di simbologia che afferma il senso di rinascita del rivedere la luce dopo la catastrofe. Tornando alla costruzione, la Lancia si compone di tre parti: un corpo centrale, la base dell’impugnatura e l’asta. Normalmente queste parti separate vengono innestate l’una sull’altra, anche se ci sono state tre o quattro Lance realizzate da un’asta unica lunga tre metri e mezzo. Prima di me le Lance avevano altezze variabili: adesso rispettano uno standard di tre metri e mezzo. In definitiva, la Lancia è arte ma anche tecnica di lavorazione.

Mi sembra il concetto di artigianato nella sua accezione più nobile…

È più facile essere artisti che artigiani. L’arte e l’essere artisti è un concetto così vasto e labile… la vera difficoltà è essere artigiani. Tutti possiamo creare, possiamo immaginarci un’opera a partire da un concetto, da una idea. L’essere capaci di realizzarla richiede delle competenze oggettive frutto di studio e applicazione tecnica.

Ti è mai stato contestato un lavoro che invece tu apprezzavi particolarmente?

Mah, nell’arte i giudizi sono talmente soggettivi che non ha molto senso il giudizio individuale. Posso solo dire che si tratta di un lavoro difficile. Ci sono elementi fissi, decorazioni che vanno sempre inserite, come una regola: il Comune, i quartieri e alternativamente la Madonna del Conforto e San Donato. Elementi molto piccoli che io realizzo sempre scolpiti e che, non potendo mancare, vanno armonizzati col resto dell’opera. Si tratta di un lavoro complesso, fatto anche di errori e ripensamenti, col rischio di arrivare a consegnare il lavoro finito giusto in tempo per la Giostra! Mi è addirittura successo di presentarmi in Comune per consegnare una Lancia mentre il corteo era già in movimento!

Per concludere, il tuo rapporto con gli Sbandieratori…

Siete un Gruppo importante, non soltanto per la Giostra: avete un grande ruolo e rappresentate l’immagine di Arezzo al di fuori della città. Inoltre sono un vostro tesserato e partecipo alla vostra cena annuale di fine anno.

Ti chiedessero di fare una Lancia dedicata agli sbandieratori, come la realizzeresti?

Certamente cercherei di riprodurre la fastosità dei vostri colori oltre ad un riferimento alla vostra araldica, al vostro simbolo. Ma visto che non siete solo colore ma anche suono, dovrebbero entrarci anche una simbologia di trombe e tamburi…

da “L’Alfiere” – n. IV – 2017, pagg. 12-15